I Vananidr partirono come one one man band nel 2018 dando alle stampe tre buoni full length nei successivi tre anni. Dal 2020 quello psicopatico di Anders Eriksson ha rallentato la sua corsa che sembrava irrefrenabile, prendendosi più tempo per dare maggiore profondità a un songwriting già di suo ben strutturato e complesso e creando attorno a sé una vera e propria band che ora è a tutti gli effetti un four pieces, con la partecipazione dietro le pelli di Fredrik Andersson, conosciuto per il suo passato nei più noti Amon Amarth. A distanza di due anni da “Beneath The Mold” eccoci a fare i conti con un nuovo concentrato di blackened death metal di puro stampo svedese e in pieno stile Vananidr. Anche se, c’è da ammetterlo, questa volta i nostri hanno cercato di spingersi al di fuori della loro ormai ben collaudata comfort zone, pur mantenendo quell’appeal drammatico e oscuro che da sempre contraddistingue i loro lavori. “In Silence Descent”, nella sua ora scarsa di durata, risulta senza dubbio il disco più sfaccettato di Eriksson & Co. ed esplora meandri oscuri sino ad oggi rimasti ignoti, prendendo da lavori come “Road North” e il già citato “Beneath The Mold” una certa anima macabra e unendola, con una maggiore consapevolezza dei propri mezzi, alla freddezza sonora di altri loro lavori. Le chitarre, come prevedibile, sono protagoniste assolute, torturate e cariche di tristezza, dipingono paesaggi nebbiosi e cupi.
Eriksson, impeccabile nello scream, prova anche a variare approccio con l’inserimento di qualche clean (percettibile ad esempio nei controcanti dell’epica “Far Beyond”); cosa che, se diventasse più frequente, potrebbe anche portare la band a un possibile salto in un mercato più ampio. Il drumming di Andersson, divenuto elemento distintivo della band da quando è entrato in pianta stabile in formazione, è cinico, puntuale e in costante mutazione come un serpente dalle sette teste, ma al contempo tondo e corposo: riesce con buon gusto a dare spessore a ogni pezzo senza annoiare e senza essere cervellotico. Una tracklist davvero ricca di sfumature si apre con la mastodontica opener “Forest Of Grief”, tra sfuriate in blast, che investono l’ascoltatore senza alcuna grazia, e rallentamenti che danno solo un apparente sollievo: si inizia fin da subito a percepire la volontà di proporre qualcosa di diverso, con un riffing catchy che richiama i Necrophobic più sbarazzini, anche se rimane ben ancorato alla retta via del dolore, che i Vananidr ormai interpretano da maestri.
È ammirevole la facilità con la quale la band riesce a cambiare registro e la naturalezza con la quale unisce pezzi più veloci e violenti a rallentamenti quasi depressive, rendendo ogni brano un’epopea emotiva: “The Black Crow And The White Swan” è una colossale sinfonia di disperazione e miseria, “Tearing Skin” è orchestrata egregiamente con richiami alla classica scuola swedish death, echi dei Dissection aleggiano su “Black Feathers”, autentica tempesta di ghiaccio che potrebbe essere stata scritta nel 1995, mentre la conclusiva “Burden” mette in mostra l’essenza più triste e deprimente del songwriting targato Vananidr. Tra melodie di pura malinconia e momenti più frenetici e ossessivi, condendo il tutto con frustrazione e sofferenza, la band di Stoccolma ci consegna un perfetto esempio di blackened death metal scandinavo moderno ma saldamente ancorato al passato.