Proveniente dalla sempre fertile scena underground australiana, il progetto Lament In Winter’s Night è una one man band dietro la quale si cela il factotum e mastermind The Seer (per l’occasione affiancato da Bloody Fury alla batteria), personaggio attivo anche in molte altre realtà, tra cui ad esempio Solipsism, di cui abbiamo recensito il debutto “Cruelty & Necrospection”. I ragazzacci brutti dell’onnipresente Hells Headbangers Records, sempre pronti a mettere sotto contratto gente che fa musica grezza, ristampano questo “Whereunto The Twilight Leads”, pubblicato solo qualche mese fa dalla Atrocity Altar, secondo full length a distanza di quattro anni da “At The Gates Of Eternal Storm”, disco per la verità eccessivamente scolastico, che non ci aveva troppo entusiasmato. Questo successore invece mette in evidenza un approccio decisamente più personale, pur muovendosi sempre nei territori del raw black metal con sfumature atmosferiche, genere del quale comunque rispetta alla lettera i dettami compositivi ed esecutivi, a partire naturalmente da una registrazione deficitaria e cantinara, in gran parte priva del basso (quindi se questo rappresenta un ostacolo potete tranquillamente passare oltre).
“Whereunto The Twilight Leads” suona spettrale nella sua crudezza, che fa tuttavia emergere un mai sopito piglio melodico, al tempo stesso macabro ed etereo, attraverso sonorità che rievocano paesaggi musicali old school e decisamente fantasy/medievali, come la bella immagine di copertina. Ed emerge in primo piano pure un certo afflato quasi folkeggiante, anche se il nostro amico fa del tutto a meno di strumenti tradizionali, ai quali di solito nel black metal è affidato il compito di veicolare questo genere di atmosfere. La melodia, caratterizzata sovente da una forte vena malinconica, è sostenuta da chitarre dall’incedere molto finlandese (viene da chiedersi se The Seer abbia per caso dei parenti da quelle parti) e da una spruzzata di sintetizzatori qua e là e costituisce senza dubbio l’elemento portante delle composizioni, tutte dal minutaggio piuttosto corposo e giocate su una buona alternanza tra up e mid tempos, con la presenza di break atmosferici, tanto consueti nel filone di appartenenza quanto piuttosto cupi ed evocativi.
È dall’unione di questi pochi e semplici elementi, tuttavia ben amalgamati tra loro, che nascono gli episodi migliori del disco, che in fin dei conti giustificano la valutazione numerica finale, tutti posti nella prima metà dello stesso, ovvero l’opener “The Night Beckons In Yellow And Blue” e le successive “Dawn, Cast Your Heart” e “Blazing Galactic Kingdoms”, mentre nella seconda parte la tensione creativa scema leggermente e ci si ritrova ad ascoltare, come accadeva nel primo disco, un paio di canzoni non brutte ma nella media, che in definitiva rischiano di perdersi nell’affollato, per non dire inflazionato, panorama raw black metal attuale.
Tirando le somme siamo di fronte ad un disco che di sicuro non stravolgerà il genere ma che si lascia ascoltare con piacere, stuzzicando il coinvolgimento emotivo dell’ascoltatore più affezionato ad un certo tipo di sonorità, alle quali si mantiene in sostanza fedele ma che riesce anche ad interpretare con sufficiente immaginazione e in maniera abbastanza interessante. Se vi piacciono realtà come Drawning The Light e Wyrd probabilmente non resterete delusi.