Ruttokosmos, un moniker che potrebbe suscitare facili battute (ed in effetti, lo ammetto, un sorrisino è sorto spontaneo anche sulle mie labbra alla vista del promo) ma che in finlandese significa qualcosa come “cosmo della pestilenza”, roba serissima. Tanto seria da attirare l’attenzione di Sua Malvagità Lauri Penttilä, meglio conosciuto come Werwolf (se non ci fosse lui in Finlandia ci sarebbe la metà dei gruppi black metal in circolazione), che tramite la sua etichetta Werewolf Records ha prima ristampato in una compilation celebrativa i due demo di questa oscura creatura ed ora ne pubblica l’album di debutto, che si presenta con un bel trittico di teschi caprini (almeno sembra) in copertina e vede la luce (delle tenebre) addirittura ventuno anni dopo la nascita della band. Quindi, ricapitolando: due demo (“Ja Minä Näin Kuoleman” nel 2006 e “Kärsimys” dell’anno successivo), poi il nulla assoluto per anni. Non volete riconoscere il dovuto alone di culto ai Ruttokosmos? Ma certo che sì. Tra l’altro la formazione è misteriosa, anche se dovrebbe essere composta da tali Orm e Kastaja, che probabilmente hanno suonato anche in passato sotto pseudonimo in altre band.
Terminate le notizie biografiche, veniamo alla musica che è (squillo di trombe e rullo di tamburi) black metal finlandese, chiaramente. Che sorpresa, eh? Però c’è da dire che i nostri amici riescono ad imprimere una sfumatura abbastanza particolare alle sonorità tipiche della terra dei mille laghi, che ogni maniaco del metallo nero che si rispetti non può non conoscere a menadito. Tempi lenti o medio-lenti, tanto da poter a tratti perfino scorgere un’impronta accostabile al filone depressive, melodie oscure rese attraverso un chitarrismo molto metal ma anche decisamente cupo e angosciato, e un piglio misticheggiante e vagamente folk, tipo “adesso andiamo a fare un bel rituale esoterico nel bosco nel bel mezzo di questa rigenerante tormenta di neve”, che per certi versi li avvicina più a gente come Wyrd e Cosmic Church che non al classico sound made in Finland che normalmente identifichiamo con Behexen, Horna o gli stessi Satanic Warmaster. Le canzoni sono mediamente di lunga durata e questo permette ai riff crudi e alle melodie nostalgiche di ripetersi con andamento ipnotico, creando un’atmosfera impalpabile e onirica che, pur essendo difficile da afferrare e descrivere a parole, finisce per rappresentare probabilmente l’elemento di maggior fascino e interesse del disco.
Un disco che va inteso come un continuum nel quale i singoli brani costituiscono i capitoli di un’unica narrazione musicale, tanto che sarebbe pressoché inutile citarne uno a discapito di altri, anche se l’opener “Sisältäni Portin Löysin”, con la sua coda strumentale mesmerizzante e quasi psichedelica, merita una menzione a parte perché è uno dei momenti più riusciti dell’album ed è davvero rappresentativa di quelli che sembrano essere gli intenti della band. Insomma, niente di nuovo, anzi tutto molto “vecchio” ma fatto bene e con cognizione di causa. Se proprio dovete ascoltare roba grezza è decisamente meglio questo “Apoteoosi” che i tanti, troppi dischi raw tastierosi da cameretta che quotidianamente affollano la nostra redazione virtuale in cerca di una recensione (e che puntualmente snobbiamo, per il vostro bene).