Nachash, il serpente biblico o drago, una creatura ingannevole e astuta: tentò Eva promuovendo l’idea che cibarsi del frutto dell’Albero della Conoscenza sarebbe stato benefico anche se Dio l’aveva espressamente proibito, portando così all’espulsione dell’umanità dal Giardino dell’Eden (e ancora oggi ne paghiamo le conseguenze). Ma se Nachash nel Libro della Genesi è un simbolo sfaccettato, interpretato in modo diverso nelle varie tradizioni religiose, nel black metal questo nome ci porta dritti a un’entità ortodossa e old school proveniente da Oslo. Il combo norvegese, attivo dal 2011, ha debuttato sulla lunga distanza nel 2018 con il discreto “Phantasmal Triunity”, che ci mostrava una band dall’impatto classico, rozzo, quasi ignorante, e fortemente debitrice della prima ondata, con radici ben ancorate nel thrash d’annata più sporco, quello di matrice tedesca per intenderci, e dosi massicce di Venom e Celtic Frost. Questo nuovo “Eschaton Magiks” esce per Signal Rex a distanza di oltre sei anni del debut e ci presenta una band decisamente più in bolla rispetto al precedente lavoro.
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Non aspettatevi virtuosismi alla Dream Theater ma a modo loro i Nachash riescono a far emergere una venatura quasi “progressiva” in mezzo a una quantità smodata di riff metallici e urla soffocate in growl. Difficile trovare punti deboli in questo lavoro, che sembra trasportare l’ascoltatore tra le calde e dorate sabbie del deserto nel bel mezzo di un nobile banchetto sotto una refrigerata tenda berbera: in “Eschaton Magicks” infatti si respira un’atmosfera decisamente più sognante e grandiosa rispetto al debut; i suoni si fanno più puliti ma non privi di rabbia, probabilmente per dare maggior respiro alle venature più marcatamente black metal della musica di A. e soci. Ma questa è semplicemente la superficie perché in effetti il songwriting rimane vicino a un death/thrash metal “soprannaturale”, quasi etereo e più epico che mai, grazie soprattutto ai riff orientaleggianti che si agitano e rotolano come un serpente, condendo qua e là i vari pezzi. I quali assumono spesso e volentieri contorni selvaggi e tortuosi, quasi tribali, mentre le influenze più classicamente thrashy dal canto loro rendono semplicemente irresistibili molti passaggi, garantendo un headbanging da metallaro vissuto. Qualche parola va detta sulla produzione, mai spavalda o modernista ma piuttosto intima e definita, specie quando lascia ben percepire le trame melodiche intrecciate a un basso sempre presente e protagonista.
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Non ha molto senso citare un brano a discapito di un altro ma è impossibile non menzionare l’opener “Stygian Nightmare”, solenne manifesto di tutto il disco, oppure la più slayerana “Death’s Mordant Blaze”, autentica cavalcata thrash che nel suo incedere cambia pelle trasformandosi in una death metal song di grande qualità; canzoni che ci fanno subito capire l’esponenziale crescita della band rispetto al primo lavoro. I Nachash ci conducono passo dopo passo nel loro mondo oscuro, tra riff taglienti ma eleganti, con la loro miscela arcaica ma fresca di black/death/thrash metal dal tocco occulto: e allora non opponete resistenza e lasciate che il serpente tentatore si insinui nelle vostre orecchie.