Unholy Impurity – Oculus Mortis

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“Sardinian native black metal”: così definiscono la loro musica gli Unholy Impurity, quintetto di Sassari sulle scene dal 2014 ma dalla discografia piuttosto risicata (il che non è necessariamente un male: meglio puntare sulla qualità che sulla quantità). Questo “Oculus Mortis”, che esce per la piccola ma piuttosto attiva etichetta Masked Dead Records, è infatti soltanto il loro secondo lavoro sulla lunga distanza e arriva a circa sei anni dal debutto “Bones Worship” del 2019. Il black metal degli Unholy Impurity è profondamente radicato nei primissimi anni novanta e può richiamare sia i primi Mayhem che i primi Gorgoroth, con punte di feroce e primordiale bestialità alternate a momenti dal sapore decisamente più ritualistico e dal mood più morboso che violento, che potrebbero persino chiamare in causa certi Beherit. Accostamenti più o meno altisonanti a parte, è evidente fin dalle prime note che i nostri amici volgono lo sguardo al passato e alla vecchia scuola, e lo si percepisce anche dalla produzione classicamente scarna e grezza, che ci riporta immediatamente agli esordi del genere, quando tutto era oscuro e avvolto nella nebbia. A questa cornice musicale fa da contraltare un concept ispirato alle dottrine anticosmiche e ai misteri dell’antica cultura sarda, che affonda le proprie radici in tempi assai remoti dal momento che le prime testimonianze delle popolazioni nuragiche risalgono all’età del bronzo.

Non a caso i brani posti nella seconda metà dell’album, dopo l’intermezzo “The Healer” che idealmente divide in due il disco, sono cantati in lingua autoctona, a sottolineare una volta di più il legame della band con la propria terra d’origine. Ad essere del tutto sinceri bisogna dire che gli Unholy Impurity, specialmente alle orecchie di chi è cresciuto con questo genere di sonorità, non hanno in effetti niente di particolare (né credo che fosse questo il loro intento), e anche a livello lirico e concettuale non costituiscono di certo una sorpresa, visto che sono innumerevoli i gruppi focalizzati sulle rispettive tradizioni locali, molti dei quali adottano più o meno sistematicamente lingue e dialetti antichi. E allora perché questo “Oculus Mortis” può definirsi nel complesso un album riuscito? A mio parere perché è uno di quei dischi che riescono, pur nella loro lineare prevedibilità, a coinvolgere emotivamente l’ascoltatore e a trasportarlo in un mondo sonoro al quale si ricollega tutto un immaginario (famigliare quanto volete, perfino stereotipato) che conserva intatto il proprio fascino e continua a far battere i nostri cuoricini neri.

Sfido chiunque a non avere una sensazione di “già sentito” ascoltando questo lavoro e, al tempo stesso, sfido chiunque a non avere uno spontaneo moto di approvazione o, più prosaicamente, a non sbattere a tempo la capoccia ascoltando pezzi trascinanti nella loro semplicità, come l’opener “Into The Abyss”, la successiva “Black Magic” o la più funerea e cadenzata “The Oldest One”. Brani nei quali il gruppo sardo riesce ad amalgamare al meglio ferocia ed atmosfere sinistre, mentre nella seconda parte il tiro si sposta più sull’impatto belluino e i pezzi, seppur validi, finiscono a mio giudizio per perdere parte della loro specificità.

Nota finale per la copertina, che può ricordare quella del ben più noto “Lawless Darkness” dei Watain, opera dell’artista indonesiano Oik Waskuf della Nothing Sacred Artwork, che proprio con la band svedese ha collaborato in passato. Ascolto consigliato.

REVIEW OVERVIEW
Voto
69 %
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unholy-impurity-oculus-mortisTRACKLIST <br> 1. Into The Abyss; 2. Black Magic; 3. Ancient Stones Of Death; 4. The Oldest One; 5. The Healer; 6. Sos Rajos; 7. Treutos Corrudos; 8. Sos Filos De Sa Morte; 9. Requiem <br> DURATA: 45 min. <br> ETICHETTA: Masked Dead Records <br> ANNO: 2025