Pensiamo che sia corretto definire una band di “culto” qualora sia stata pioniera in un genere o, quanto meno, abbia saputo apportare soluzioni differenti che possono riguardare la musica o l’iconografia o l’immaginario che le girano intorno, e che abbiano conferito tratti distintivi e ben riconoscibili alla band stessa, poi copiati nel tempo. Gli Insanity Cult di “culto” hanno solo la seconda parte del nome, ma una cosa è certa: tra le band greche, che mediamente hanno un sound ben delineato, riescono in qualche modo ad emergere dalla mischia grazie a una proposta che fa compiere un balzo indietro nel tempo, riportandoci verso atmosfere ancestrali, quasi remote, fondendole però con quelle care a gruppi più recenti, dediti a sonorità meno “clandestine”. Fondati nel 2011 ad Atene, fanno il loro esordio discografico nel 2014 con l’ep “Insanity Be My Kvlt”, seguito da costanti uscite sino al 2019, fino ad arrivare a questo “Κάθοδος” (“Descent”), quarto full length che enfatizza tutte le caratteristiche che la band ha messo in mostra nei precedenti lavori. Cosa aspettarsi da questo disco? La band lo descrive così: “semplicemente un nuovo capitolo nell’incessante esplorazione della dissonanza, intriso di malinconia e paesaggi oscuri, espressi attraverso emozioni sonore sperimentali”.

“Κάθοδος” non è certamente un disco di facile ascolto, è ruvido e impertinente ma al contempo “furbo”, perché si muove come un serpente partendo dal black metal old school per gettarsi a capofitto in territori atmosferici ed evocativi, lambendo i confini del “post”. Chitarre sempre sugli scudi, taglienti, armate e mascoline, mai paghe del caos che riescono a generare, ma al contempo leggere, di gran classe e aggraziate come una piuma sul viso, merito soprattutto di un piglio melodico sempre protagonista. Caratteristica principale del lavoro, che dividerà le opinioni di qualsiasi genere di ascoltatore, è il cantato di Sacrilegious, fatto di urla laceranti come quelle di una persona che chiede la grazia in punto di morte, quasi inumane, un tratto distintivo che può essere croce o delizia del disco, visto che la loro presenza è marcata e quasi invadente nel suo sembrare “fuori metrica” (andate ad ascoltare come un pezzo solenne ed epico come “Whispering Depths” viene letteralmente “violentato” dalle vocals).

Un approccio vocale differente avrebbe fatto perdere qualcosa in personalità ma probabilmente avrebbe fatto guadagnare qualcosa in fruibilità. Concludendo, dopo diversi ascolti non possiamo dire di avere tra le mani né un brutto disco né un capolavoro: “Κάθοδος” mette insieme in maniera piuttosto naturale la cruda intensità della seconda ondata black metal con una certa ricerca di sfumature in senso lato “sperimentali”, e questo lo rende un lavoro potenzialmente appetibile per una vasta platea di maniaci dell’underground metal estremo.