Esce in elegante formato vinile 12” di colore rosso, per l’etichetta francese Dead Seed Productions, questo album d’esordio dei romani The Reptilian Session, che in realtà è la ristampa dell’omonimo demo già pubblicato in cassetta nel 2015 e molto ben accolto dalla critica di settore, con l’aggiunta dei tre pezzi finali. La band in questione è formata da membri ed ex membri di Vesper e Fingernails, gruppi non ignoti ai frequentatori dell’underground tricolore, e propone un black metal davvero granitico, furioso e senza compromessi, che riesce a coniugare bene la fedeltà ai dettami dell’ortodossia con schizoidi pulsioni moderniste. Il black metal dei The Reptilian Session è fatto di virulente sferzate chitarristiche e vocals demoniache incastonate su magmatici tappeti di blast beats, che equilibrano la violenza assassina e la naturale propensione a dare corpo e sostanza ad intriganti cambi di tempo ed atmosfera, benché siano quasi sempre le velocità piuttosto sostenute a prevalere. Il piglio compositivo è secco e primordiale, direi addirittura nervoso, e la musica, con qualche crudo inserto elettronico ma senza eccessivi orpelli, dipinge con efficacia desolati mondi extra terrestri e paesaggi post-nucleari nei quali non c’è più alcuno spazio per la presenza umana. Un sentore di degrado suburbano e industriale sembra trasudare da ogni nota, cosa che mi ha fatto spontaneamente accostare l’approccio dei nostri a quello di più note realtà come Diabolicum, Aborym e Mysticum, senza per questo risultarne la copia pedissequa. Questa vena aliena e in senso lato sperimentale diviene più evidente nelle canzoni di più recente composizione e sembra rappresentare il percorso evolutivo che l’ensemble nostrano pare aver inteso imboccare senza ripensamenti: “The Dungeon Before The Void” viene riproposta con abbondanti ed infettive contaminazioni techno-tastieristiche, opera di Sirio Gry J., boss della Monolith Records; la cover dei Bauhaus è decomposta e scarnificata dalla brutalità black, pur mantenendo intatta l’aura decadente della versione originale; la conclusiva “The Black Exoplanet”, che vede la partecipazione in veste di guest vocalist di Fabban dei già citati Aborym, è un assalto ferocissimo e gravido di deliranti e filtrate variazioni nei più scuri territori ambient-industrial. “The Reptilian Session” è in definitiva un ottimo viatico per il futuro prossimo del gruppo. Un lavoro ricco di spunti interessanti, che riesce a trasmettere un senso di morboso disagio risultando al contempo immediato e per nulla artefatto ed esplorando con decisione lidi limitrofi al black senza per questo destrutturare l’essenza primeva del genere di appartenenza. Un po’ come i rettiliani nella vulgata metropolitana: così simili e così diversi dagli umani, radicalmente altri ma animati in fondo dalle medesime bramose esigenze.
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