Gli Ares Kingdom sono una band americana dedita ad una sorta di death/thrash/black metal. Data questa definizione pensavo che questo “Return To Dust” sarebbe stato il solito, vecchio e scontato dischetto che cerca nel suono e nella musica di ritornare ai mitici anni ’80, con risultati non sempre soddisfacenti, ed invece ciò che mi ritrovo tra le mani è una gradita quanto inaspettata sorpresa. Chiariamoci subito, il quartetto americano suona molto thrash ottantiano, specie nei frangenti più tirati che paiono essere usciti dai primi dischi dei Sodom o dei Kreator, con tanto di batteria sparata a mille e riff di chitarra semplici ma quanto mai fulminei ed efficaci. Eppure in questo album si respira un’aria fresca, anche se, ripeto, il genere proposto è di quelli che di più sentiti non ce n’è. I nostri però, più che all’impatto frontale vero e proprio, puntano molto su mid-tempos robusti e granitici, ma non per questo poco coinvolgenti; al contrario i riff cadenzati sono molto ben riusciti, molto energici e rutilanti, fatti apposta per poghi tritaossa e scatenati headbanging, e riportano alla memoria persino i Sinister dei tempi migliori. Tutte le canzoni presenti hanno il loro perché e il loro punto di forza, ma una in particolare contiene tutte le caratteristiche del sound targato Ares Kingdom, ovvero “A Dream Of Armageddon”, la quale si apre con un arpeggio melodico e sfocia in un guitar-work schiacciasassi, accompagnato dalla voce cruda e sgraziata del cantante insieme ad una batteria che funge quasi da artiglieria. Ecosì si va avanti, tra cambi di tempo, frangenti più aperti e ragionati ed assoli, fino all’infernale epilogo con ritmiche al fulmicotone e chitarre velocissime alle quali è difficile resistere e rimanere saldi alla poltrona. La vera marcia in più dell’album è proprio questa: la varietà dei pezzi. Mai troppo statici, nessun inutile riempitivo o fraseggio poco riuscito, solo ottima e reale sostanza. Persino le due tracce strumentali consecutive, che solitamente non apprezzo più di tanto, non annoiano, anzi, si adeguano perfettamente al contesto epico ed apocalittico evocato dai nostri. Sto parlando di “None Escape”, vera e propria canzone privata però dalle parti vocali (peccato però, visto che si tratta di un buon pezzo), sostituite in compenso da un ottimo assolo chitarristico, e della successiva “Sins Of The Father”, un breve e malinconico arpeggio suonato timidamente e che fa da melodia ad un surround teso ed inquietante, che sfocia velocemente nella conclusiva “Ironclad”, altro brano esaltante e cadenzato, che promette scintille nelle esecuzioni live, con tanto di finale esplosivo e tipicamente heavy. Concludendo non mi resta che aggiungere che di black metal vero e proprio in “Return To Dust” ce n’è davvero poco, se non qualche influenza sull’atmosfera generale, abbastanza apocalittica e qualche sinistra melodia, tutto il resto è pesante, roccioso e incalzante thrash/death supportato da una produzione potente ed efficace. Headbanging assicurato!
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