A ben sei anni di distanza dal loro debutto sulla lunga distanza (il non eccelso ma comunque interessante “Il Était Une Forêt”), tornano a far parlare di sé i canadesi Gris con questo “À L’Âme Enflammée, L’Äme Constellée…”, poderoso doppio album di quasi un’ora e mezza di durata complessiva. Il duo composto da Neptune ed Icare ed originario del Quèbec sembra voler dare sfogo a tutta la propria creatività concependo un lavoro massiccio ed a tratti pachidermico, nel quale influenze doom e depressive vanno a braccetto con ampi squarci pacati dal sapore ambient. I due dischi che compongono l’opera sono speculari tra loro, così come le due anime della band, quella più ferale e maligna, ancorata alle radici primitive ed ortodosse del black metal di scuola nordica, e quella più riflessiva ed introspettiva. I pezzi hanno tutti un minutaggio piuttosto corposo, procedono senza fretta e nel loro incedere avvolgente e vagamente incompiuto lasciano liberamente fluire diverse emozioni, che il gruppo non si preoccupa eccessivamente di amalgamare in un insieme compatto e definito. Così parti violente e molto veloci sono accostate a lunghe parentesi malinconiche e disperate, nelle quali l’ombra dei Burzum di “Filosofem” o dei primi Forgotten Woods aleggia minacciosa. Allo stesso modo momenti acustici e classiccheggianti, con inserti di violino e cello, sono alternati a passaggi ambientali a volta distensivi e rilassanti ed in altre occasioni plumbei ed arcani, sulla scia di Paysage D’Hiver e Vrolok. L’intento della band è ambizioso e va ad essa riconosciuta una buona dose di coraggio, sia nel voler coniugare (ma non con troppa originalità) elementi musicali eterogenei tra loro sia nel voler in qualche modo prendere le distanze da alcuni fastidiosi luoghi comuni ormai abusati in ambito estremo. Finchè l’ispirazione è potente ed il riffing si mantiene di alta qualità è un piacere abbandonarsi alle sonorità cui danno corpo i nostri, sospese tra la contemplazione e la rabbia, l’estasi spirituale e la furia belluina. Purtroppo però vi sono cadute di tono e diversi momenti di stanca, davvero troppo dilatati, dispersivi ed in definitiva noiosi. Una maggiore concentrazione delle idee e tempi più contenuti avrebbero a mio avviso giovato al risultato finale. Tuttavia, se amate il black metal in senso lato atmosferico e dagli arrangiamenti orchestrali (in alcuni momenti i Gris possono ricordare da vicino i migliori Nehëmah), in questo lavoro troverete pane per i vostri denti.
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