Terzo sigillo per i nostrani Afraid Of Destiny e terzo passo lungo la loro personale “via dolorosa”, attraverso un percorso non certamente lastricato di meraviglia e gioia di vivere, che è partito dall’esordio “Tears Of Solitude” del 2013 (quando il progetto era ancora una one man band formata dal solo Adimere, mentre ora i nostri sono un duo, dopo l’entrata in pianta stabile nella line up del cantante R.F., già in forza ai Solitude Project), è proseguito con il successivo e più interessante “Agony” del 2017 ed approda ora a questo “S.I.G.H.S.” (acronimo per “Still I Gently Hide Sadness”), lavoro che contiene la rivisitazione di alcune vecchie canzoni (“I’m Crying”, “Killed By Life”) già apparse nel primo full length ed episodi inediti. Chi legge i miei modesti ed estemporanei deliri su queste pagine virtuali sa cosa penso del depressive, sottogenere affascinante ma negli ultimi anni sistematicamente inflazionato da una pletora di uscite trascurabili, realizzate con la tecnica del copia-incolla, senza alcun reale coinvolgimento emotivo (un po’ come tutto il black, in realtà), il che inevitabilmente tende ad affievolire le mie aspettative nei confronti di dischi riconducibili a questo stile. Ecco perché questo album mi ha stupito piacevolmente, già a partire dalla copertina “luminosa” e un po’ fuori dai consueti stereotipi, con la figura sconsolata e scura in primo piano che sembra chiusa nella propria tristezza, del tutto insensibile al bello scorcio di paesaggio lagunare che la circonda.
Un’immagine che racchiude tutto il messaggio dell’album, ben sintetizzato anche dal dialogo rubato presente nella traccia “Tutto Ciò Che Sento”, tratto dalla versione italiana del film “Her” di Spike Jonze (2013), nel quale l’attenzione si focalizza sull’impossibilità di provare veri sentimenti ed emozioni autentiche, che accomuna uomini ed intelligenze artificiali. Ed è importante anche l’intermezzo “Malinconica Venezia”, che tenta di catturare il languido grigiore della città, così sfavillante di prodigi artistici agli occhi dei turisti ed al tempo stesso sottilmente triste ed autunnale per molti dei suoi abitanti. Se quelle appena tracciate sono le linee concettuali dell’opera, la musica non fa che sottolineare ed amplificare lo spleen e il male di vivere che i nostri intendono comunicare all’ascoltatore, attraverso una serie ininterrotta di “sospiri” (come da titolo), che danno corpo ad un’atmosfera morbosamente romantica, creando un lavoro che se ne frega abbastanza della perfezione formale, a tutto vantaggio dell’autenticità emotiva delle note, che restano semplici e dirette. “S.I.G.H.S.” riprende in sostanza le sonorità tipiche del depressive, sia quello più classico che quello di ultima generazione, ripercorrendo con gusto sadico i sentieri tracciati qualche anno or sono da gruppi come Silencer, Nocturnal Depression e simili, ed ulteriormente puntellati di oscurità da artisti più recenti come Psychonaut 4, Vanhelga e Deadspace (non a caso Thomas Major, il chitarrista di questi ultimi, è presente come ospite in “Shells”), senza badare troppo all’equilibrio ma lasciandosi piuttosto trasportare liberamente dal vortice di sentimenti negativi evocati dalla voce e dagli strumenti.
Ed infatti il disco procede tra diverse sfumature di nero e grigio, alternando episodi più aggressivi e disperati, come la cadenzata ed ossessiva opener “Take Me Home, Death” o la conclusiva e più granitica “Killed By Life” ad altri più introspettivi e striscianti, come la già citata “Shells” o “Cursed And Alone”, strutturata come una sorta di narrazione nella quale sussurri e chitarre si intrecciano ad abbracciare consapevolmente il vuoto e l’angoscia (“I choose to be what I amand, I choose to be cursed and alone”); i nostri si lasciano poi andare spesso e volentieri a lunghe divagazioni strumentali, dove la voce tace e si inseguono soltanto arpeggi e melodie, che spesso sfociano in buoni solos, struggenti e carichi di pena. Insomma non siamo di fronte ad un album focalizzato su un’esecuzione monolitica (e questo potrebbe magari far storcere il naso a qualcuno) ma piuttosto sulla creazione di un percorso che a volte può portare molto lontano rispetto al punto di partenza musicale, andando a lambire territori relativamente più vicini a certo post/black piuttosto che al depressive nell’accezione più pura del termine. Ma (almeno a me) poco importa, se il risultato finale è un album intenso ed emotivamente maturo come questo “S.I.G.H.S.”. Anche se forse leggermente slegato nel suo sviluppo e di sicuro non originalissimo per quanto riguarda le scelte stilistiche, questo disco saprà trasportarvi nei meandri più reconditi e profondi dell’animo umano. E questo in fondo è ciò che conta perché, per dirla con Novalis, “la via misteriosa va verso l’interno”.