Questo é soltanto il quarto studio album per la band di Imperial, personaggio tra i più noti ed attivi della scena USBM, anche se la discografia dei Krieg, tra split, mini cd ed uscite in vari formati, é praticamente sterminata. Le songs contenute in questo lavoro, il cui titolo é ispirato ad un poema di Diamanda Galas, furono in realtà composte nel lontano 1998, appena dopo la pubblicazione del full length d’esordio “Rise Of The Imperial Hordes”, del quale costituiscono una sorta di prosecuzione. In effetti lo stile e l’approccio così ferali, caotici e primitivi del debut sono mantenuti intatti anche in quest’opera e, se possibile, ulteriormente amplificati grazie a pezzi estremamente selvaggi e potenti nella loro elementare linearità. Gli intermezzi vagamente ambient (a volte semplicemente noise) posti tra le varie composizioni, quasi a formare una sorta di continuum ideale, sono decisamente spiazzanti e rappresentano probabilmente l’aspetto più interessante di questo disco. La compattezza e la brutalità, unite all’effetto straniante ottenuto dagli sprazzi rumoristici testé menzionati, non sono però sufficienti di per sé a rendere l’ascolto di questo album niente più che piacevole. Non si può certo dire che i Krieg difettino di personalità: nel corso degli anni hanno infatti elaborato un proprio sound, riconoscibilissimo, fatto di violenza, sofferenza, rantoli soffocati, sezione ritmica schiacciasassi, smania di distruzione e riffs al fulmicotone. Ma le tracce di questo “Sono Lo Scherno” appaiono ancora piuttosto acerbe nella loro semplicità, a tratti estremamente confusionarie ed addirittura inconcludenti, come se la band fosse impegnata semplicemente nella creazione di un pesantissimo massacro sonoro, completamente slegato al proprio interno e senza logica alcuna. Questa sensazione é aumentata anche dalla pericolosa somiglianza di tutti i pezzi tra loro e con quelli del primo album nonché da una registrazione assai impastata e dai toni eccessivamente bassi. Certo, si tratta della pubblicazione di vecchi pezzi, risalenti al primo periodo di vita del combo statunitense, che ha saputo crescere ed affinare la propria proposta fino a comporre un disco completo e massiccio come “The Black House” del 2003. Trattandosi di materiale d’annata é ovvio che il giudizio non potrà che essere storicizzato e ricondotto a quel particolare periodo compositivo della band: di quest’opera possiamo apprezzare l’attitudine, la rabbia sprigionata e l’atmosfera morbosa e mortifera che riesce comunque a creare, anche se gli standard qualitativi di Imperial e soci, specie nelle ultime produzioni, sono ben più elevati e mi aspetto che ritornino ad essere tali con l’uscita del prossimo, imminente, “Blue Miasma”.
Sign in
Welcome! Log into your account
Forgot your password? Get help
Password recovery
Recover your password
A password will be e-mailed to you.