NKVD (acronimo per “Narodnyj Komissariat Vnutrennich Del” ovvero “Commissariato del popolo per gli affari interni”) era un apparato di polizia incaricato di proteggere la sicurezza dello stato dell’Unione Sovietica, funzione che fu svolta spesso attraverso opere di repressione sistematica, specialmente durante il periodo più feroce delle purghe staliniane. Ed è questo il nome scelto dal francese Loïc F. (già mastermind dei meno interessanti Autokrator) per questo progetto di opprimente industrial black metal, caratterizzato da un concept lirico ed estetico che si fonda su una sorta di delirio totalitario onnicomprensivo, nel quale si confondono in un insieme paranoico e indistinto dittature di ogni colore, aquile imperiali e stelle rosse, svastiche e repubbliche sovietiche, lunghi impermeabili di pelle nera e decadenti fabbriche dismesse: un universo ostile dove non c’è posto per la libertà e l’uomo deve piegarsi alla macchina cieca dell’autorità costituita. La musica è la perfetta descrizione di questa follia dittatoriale, caratterizzata com’è da un andamento morboso e ossessivo, dove i samples rumoristici ed i riff di chitarra si susseguono cadenzati ed implacabili, circolari ed ipnotici, senza alcuna soluzione di continuità in un esaltato impasto politico-metropolitano che ha pochi eguali nell’attuale scena extreme metal (anche se diversi punti di contatto, a livello di influenze musicali, possono essere individuati con gruppi quali Diabolicum, Mysticum e soprattutto Anaal Nathrakh, oltre che con i Godflesh, indiscussi padrini dell’industrial più monolitico e martellante): colpisce in particolare l’insistita e riuscita alternanza tra passaggi asfissianti e momenti più solenni e marziali, quasi marcette militari, che mettono in evidenza un mai sopito istinto del ritmo e del groove, mentre la musica scorre distorta, grazie anche a cupissimi inserti tastieristico-elettronici in sottofondo, e Loïc F., con un cantato ora stentoreo ora brutale, declama i propri inni di odio attraverso tonnellate di filtri vocali. Non si scade mai nella cacofonia fine a sé stessa perché i pezzi poggiano su strutture solidissime, direi quasi rigide, come rigido ed opprimente è l’immaginario politico evocato. Il viaggio è faticoso e debilitante perché la musica contenuta in questo “Totalitarian Industrial Oppression”, in realtà un’antologia che comprende l’ep d’esordio di NKVD (“Diktatura” del 2007) ed il successivo primo album (“Vlast” del 2011), non è certo di facile fruizione né accessibile a tutti gli ascoltatori: è un’allucinazione terrificante e un assalto maniacale e violentissimo, per questo consigliato a chi volesse vivere un’esperienza sonora distante dai canoni consueti, stupendosi un volta di più delle perle che nasconde l’underground più profondo.
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