Nella seconda metà degli anni ottanta, mentre il glam/sleaze conquistava stadi e classifiche svelando la decadenza dietro lo scintillio dei glitter ed il perbenismo degli States reaganiani, il mondo metal sotterraneo cominciava ad essere sconvolto da un’ondata di brutalità e violenza che, generata dall’incazzatura thrash, sarebbe nel giro di qualche anno sfociata nell’estremismo del death e del black come oggi li conosciamo. In quel periodo c’era del marcio in Brasile (e non solo in Danimarca): una manciata di giovani gruppi, fans sfegatati di Venom, Kreator e Slayer, diedero alle stampe, grazie alla mitica Cogumelo Records, i loro bestiali e primitivi lavori d’esordio, creando e consolidando la scena di un paese che fino a quel momento era stato a dir poco ai margini del movimento metallico, e posero le basi di un modo di suonare e di una tradizione che si diffonderanno rapidamente in tutto il Sudamerica. Tra essi i Sepultura emersero e si imposero ad un pubblico decisamente più vasto; i Sarcofago, dal canto loro, vengono puntualmente citati tra i prime movers della prima ondata black. Ma vi erano altre compagini, forse meno conosciute, come Vulcano, Dorsal Atlantica, Holocausto, Chakal ed appunto i Mutilator, probabilmente meno dotati di molti dei loro compagni di avventura ma ai quali sono particolarmente affezionato essendo il loro full length di debutto “Immortal Force” uno dei primi dischi old school thrash che ebbi modo di ascoltare nella mia spensierata giovinezza metallica. Ed “Immortal Force” è il classico lavoro di metallo estremo figlio del suo tempo: una sorta di replica apocrifa ed illegittima di “Hell Awaits”, una grezza e viscerale rivisitazione di quanto allora era considerato il non plus ultra in fatto di aggressione ed impatto sonoro (quindi i già nominati Venom, Kreator e Slayer ma anche Sodom, Destruction, Hellhammer e Celtic Frost), assolutamente raw, essenziale e privo di qualsiasi concessione melodica; un guazzabuglio primordiale che evolverà in una forma più compiuta di thrash nel successivo e ultimo album “Into The Strange” (1988). Qui invece tutto è estremamente sanguinolento e ruspante e la rabbia si manifesta furiosa in episodi speed davvero distruttivi come “Blood Storm”, “Butcher” e “War Dogs”, un terzetto da brividi che racchiude ed esprime tutto il potenziale esplosivo della musica dei nostri, in grado anche di concepire brani relativamente più articolati e complessi come l’opener “Memorial Stone Without A Name” e “Brigade Of Hate”. I Mutilator non hanno inventato nulla, sia ben chiaro, e forse sono già stati dimenticati, ma questo “Immortal Force” è a mio giudizio una sincera testimonianza del passato che l’odierno fruitore di estremismi metallici potrebbe recuperare per riscoprire le radici di un sound al quale le nuove leve in fondo devono molto.
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