Valido debut sulla lunga distanza per questa band transalpina dal monicker di tolkeniana ispirazione, già autrice in passato di uno split in compagnia dei Nordum e di un 7” intitolato “7 Ans De Réflexion”. Il black metal degli Orthanc è accostabile alla più recente e migliore scuola francese, quella di gruppi quali Crystalium, Pogrom, Seigneur Voland e Blessed In Sin. Dunque songs potenti, veloci e d’impatto, sorrette da una produzione non nitidissima ma comunque chiara a sufficienza e accompagnate da testi di stampo fortemente sciovinista che inneggiano alle glorie nazionali e all’antico perduto splendore. Da segnalare l’evocativa intro, basata su un delicato arpeggio di chitarra acustica dal sapore vagamente folk, e la quarta traccia “Le Bon Pasteur S’Endort”, introdotta da un riconoscibilissimo tema di Berlioz che viene ripreso nell’incipit dalle chitarre. La sezione ritmica è precisa e terremotante e costituisce l’ideale sostegno per il guitar work tagliente e gelido di Dracir, dal feeling malinconico e struggente. Gli ultimi due pezzi sono registrati dal vivo ad un concerto tenuto dalla band a Moutier in Svizzera e, nonostante la resa sonora assai scarsa, rendono bene l’idea della forza distruttiva sprigionata dagli Orthanc in sede live: nella prima canzone possiamo apprezzare un “Hail!” scandito a gran voce e ripetutamente dal pubblico, mentre la seconda è una cover degli semisconosciuti Funeral. A conti fatti un album d’esordio accettabile e con buoni spunti compositivi, che fa del nichilismo iconoclasta e dell’aggressione violenta i propri punti di forza e che non mancherà di suscitare l’interesse di tutti gli amanti delle sonorità sopra descritte.
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