Dopo l’eccellente e inarrivabile “Hoffnungstod”, la contorta e oscura mente di Ulfhednir, unico membro che si cela dietro i Wigrid, partorisce il suo secondo album. “Le ceneri della vita”, questo il significato del titolo tradotto in italiano, è uno dei più affascinanti lavori classificabili sotto l’etichetta “depressive”. Che Wigrid si ispiri pesantemente a Burzum nelle sue composizioni è palese, d’altro canto è obiettivamente difficile citare una sola band che non l’abbia mai fatto, anche se comunque è indiscusso che Wigrid rappresenti in assoluto la band più debitrice al Conte, in riferimento soprattutto agli ultimi suoi lavori. Bisogna tuttavia riconoscergli una certa predisposizione e abilità nel produrre piccoli capolavori, che di certo non finiranno nel dimenticatoio, come altri innumerevoli album realizzati da band prive di attitudine che si limitano a scopiazzare indecentemente. D’altra parte l’originalità non rappresenta un requisito fondamentale, in un genere come questo giunto oramai al capolinea, in cui per forza di cose è impossibile inventare qualcosa di nuovo. Trovo ad ogni modo piacevole ascoltare lavori come questo che se non altro rendono vivo, in maniera dignitosa, il ricordo di ciò che è stato in passato. Come ogni genere e sottogenere che si rispetti, lo schema seguito è sempre il medesimo, e ancora una volta risulta estremamente efficace. Dalle prime note ho subito notato un’impressionante somiglianza con “Suicidal Emotions” di Abyssic Hate. Atmosfere plumbee e malinconiche traspaiono da ogni singola nota di questa preziosa perla, che ci fa vivere un lungo e soffocante viaggio nei luoghi più bui e reconditi di una mente afflitta e perduta per sempre. Disperazione e angoscia si liberano violentemente, con ritmi cadenzati e intrecci melodici di straordinaria e cupa bellezza. Sicuramente azzeccata l’idea di riportare nel booklet accanto ad ogni testo la corrispondente traduzione in inglese, che ovviamente consente una più facile comprensione delle liriche. Come facilmente ci si può aspettare le cinque tracce hanno un minutaggio abbastanza elevato; esse si mantengono tutte sullo stesso livello riuscendo sempre a mantenere elevata la soglia di attenzione dell’ascoltatore. La traccia che più si distingue dalle altre è senza dubbio la title track, interamente strumentale, costruita su meste note di tastiere, che portano alla fine questa malsana esplorazione lungo sentieri eclissati da un’inesorabile e infinita tristezza.
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