Secondo full per i Forgotten Tomb, guidati dall’estro creativo del nostro connazionale Herr Morbid. “Springtime Depression”, rispetto al suo stupendo predecessore che risponde al nome di “Songs to Leave”, presenta una maggiore attenzione nel songwriting delle chitarre ritmiche, tralasciando il discorso che prevedeva un forte utilizzo di parti soliste, presente sicuramente nel disco precedente. Una forte attenzione quindi nel creare un riffing evocativo che, alternato ad areosi arpeggi, riesce a trasporre in musica la pesantezza esistenziale e il nero pece dell’animo umano. Un disco dalle tinte scure, non si intravede alcuno spiraglio di luce nel tunnel “Forgotten Tomb” e questo album sta a ribadire l’eterno odio nei confronti della vita. “Todestrieb” viene posta come prima traccia, subito si nota la pesantezza compositiva accostabile a funeree venature di radice doom. Le vocals sono meno distorte rispetto al passato e più “umane”, se così si può dire, forse per rappresentare al meglio le cicatrici materiali, tangibili. Un disco che sarebbe da definire disumano, per essere più corretti, più che altro per l’accento sull’odio e sulla misantropia che viene posto su ogni singola nota. Note che emanano malessere esistenziale e buio, lente e monolitiche, colpi letali che risultano striscianti, quasi morenti. Allo stesso modo si trascina il disco, “Daylight Obsession” pare accelerare l’andamento funebre, ma poi tutto torna triste. Vita seppellita dipinta negli Abyss Studios di Tommy Tagtgren, sotto l’abile guida di quest’ultimo il suono è catacombale, pulito ma antico. Quasi echeggiante, l’urlo di morte rappresentato da “Springtime Depression”, vibra e muore in un unico interminabile istante. Influenzato da Burzum di Filosofem e per certi versi anche dalla melanconica scuola targata Katatonia, l’album è una raccolta di emozioni negative, spesso lento ed asfissiante, risulta dotato di una composizione ispirata che gli permette di risultare un’ ottima uscita a livello internazionale. Difficilmente, infatti, si trova una proposta del genere che prende come matrice principale il Black d’autore ma che si snoda verso angoli nascosti e poche volte esplorati. Un disco buono, una conferma, forse leggermente inferiore al capolavoro “Songs to Leave” ma che tiene alto il nome dei Forgotten Tomb nell’inutile modernità meccanizzata. Una riuscita rappresentazione dell’inutilità dell’uomo.
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