Ci sono alcuni lavori dai quali – volenti o nolenti – non si può prescindere. “Written In Waters”, unico (deforme) parto sulla lunga distanza dei norvegesi Ved Buens Ende, appartiene senza dubbio a questa categoria. La band formata da Vicotnik, Skoll e Aggressor (in realtà una superband perché i componenti sono tutti membri o ex membri di gruppi di grosso calibro come Ulver, Arcturus, Dødheimsgard, Manes e Aura Noir) ha concepito questo oggetto misterioso in un periodo nel quale il black metal nella sua forma più pura e senza compromessi aveva già detto molto di quello che aveva da dire, discostandosi in maniera netta e consapevole da quelli che erano ormai diventati luoghi comuni del genere: niente atmosfere gelide e invernali, niente drumming serratissimo senza soluzione di continuità, niente fantasie medievaleggianti, divagazioni esoterico-sataniste più o meno d’accatto, niente esaltazioni dei bei tempi andati, quando la purezza pagana regnava incontrastata. Resta solo uno screaming esacerbato, lunatico e distante nella sua sognante disperazione; per il resto l’album è un caleidoscopio frenetico nel quale reminescenze black metal fluiscono in stacchi dal sapore jazz e si combinano con sperimentazioni varie, dettate dalle fughe acide e progressive delle chitarre in territori sghembi dove le consuete geometrie sono sostituite da paesaggi musicali inconsueti e bizzarri. Nasce così l’avantgarde – definizione già usata dalla critica in precedenza per definire l’indecifrabile e seminale “Into The Pandemonium” dei Celtic Frost: ma “Written In Waters” – una cometa che vaga disordinata nel buio interstellare – può essere considerato il capostipite di questo sottogenere in ambito black, seguito da altri lavori parimenti importanti (“666 International” dei Dødheimsgard e “La Masquerade Infernale” degli Arcturus, per elencarne un paio), tutti però pubblicati successivamente. Inutile citare una canzone piuttosto che un’altra: tutte sono le tessere di un mosaico non euclideo, un piano inclinato sul quale le note rotolano seguendo percorsi tortuosi ed inaspettati ma pur sempre estremi (la produzione è abbastanza sporca ed il mood resta comunque oscuro e sinistro come si conviene). Ostico e perfino indigeribile “Written In Waters” potrà piacere o non piacere ma ha indubbiamente indicato nuove strade e dato il là a contaminazioni fino a quel momento semplicemente inconcepibili: come un quadro astratto potrebbe a prima vista non significare nulla ma anche nascondere ad uno sguardo più attento un senso ben più profondo di tante fedeli rappresentazioni della realtà.
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