Abbiamo dovuto attendere ben sette anni perché Dolk, mastermind indiscusso dei Kampfar, decidesse di dare un seguito all’ottimo “Fra Underverdenen” risalente al lontano 1999. Sette anni possono essere lunghi per qualunque band ma non per questi norvegesi, nati dalle ceneri dei Mock e già autori in passato di due album fondamentali per il movimento pagan black metal, come l’appena citato “Fra Underverdenen” ed in misura ancora maggiore il precedente “Mellom Skogkledde Aaser”, ad oggi idolatrati ed universalmente considerati due autentiche gemme del genere. Un ritorno in grande stile sotto l’ala protettice della Napalm Records e con una line up finalmente stabile anche in sede live, che rende i nostri non più un mero solo project di Dolk ma un gruppo a tutti gli effetti, non devono far pensare ad una mossa biecamente commerciale come avviene nella maggior parte dei comebacks di vecchie glorie del passato. Per i Kampfar infatti il tempo sembra davvero essersi fermato e Dolk e compagni riprendono il discorso proprio là dove era stato interrotto con questi nuovi inni guerrieri sospesi in una dimensione eroica ed epica, completamente atemporale. Ritmi marziali, sostenuti da una sezione ritmica che assai raramente sfocia in assalti tipicamente black per assestarsi invece su tempi cadenzati ed atmosferici, un guitar work classico ed altisonante, intriso di magnificenza e pathos ed il cantato di Dolk, sentito ed espressivo, a metà strada tra il consueto screaming ed un’impostazione più recitativa. Tutto questo conferisce ai pezzi un sapore profondamente folk senza la necessità di utilizzare strumenti tradizionali, ed un’aura possentemente vichinga che avvicina il feeling di quest’album alle prime produzioni degli Enslaved, feeling ulteriormente sorretto da una produzione grezza ma sufficientemente chiara, praticamente perfetta. I primi tre pezzi sono dei gioielli che non sfigurano affatto al cospetto dei capolavori del passato: la cantilenante opener è vera poesia in musica e ci introduce egregiamente nel mondo sospeso delle antiche saghe pagane, la successiva “Til Siste Mann” riesce ad essere al tempo stesso delicata e potente nel suo equilibrio di cori epici e sfuriate black, mentre “Ravenheart” è l’inno pagano per eccellenza, quasi una dichiarazione d’intenti, potente, epica e tragica. Le successive song si assestano su livelli qualitativi di poco inferiori, ma si mantengono comunque su standard elevati senza mai suscitare sensazioni di noia, completando il quadro soffuso della rievocazione dei miti ancestrali del Nord e dei valori immortali degli Antichi Padri che rende così affascinante ed intimo questo “Kvass” come i precedenti lavori targati Kampfar. Un album profondo ed emotivo, da possedere ad ogni costo e gustare dalla prima all’ultima nota.
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