Questo “The Goat Of The Black Possession” rappresenta l’esordio sulla lunga distanza, dopo il demo “Southern Legions Of Satan” del 2002, per gli Utuk Xul e, ad oggi, l’ultima prova della band colombiana. Il quartetto sudamericano, come la gran parte dei gruppi provenienti da quel continente (e mi vengono in mente, oltre agli storici Sarcofago, i più recenti Morbosidad, tanto per citare due nomi) è dedito ad un black death furioso e blasfemo, giocato sulla violenza e la brutalità primitive e selvagge, con testi ultra satanici ispirati alla filosofia di Anton Szandor LaVey, autore delle invocazioni rituali contenute nell’intro e nell’outro. Il grosso limite degli Utuk Xul consiste proprio nell’aver puntato tutto sull’assalto frontale, sul caos sonoro senza soluzione di continuità che finisce alla lunga per risultare ripetitivo e fine a sé stesso, anche a causa della durata media delle songs, davvero eccessiva per il genere proposto, se si pensa che all’interno dei vari pezzi non ci sono in pratica mai cambi di tempo ed atmosfera. È apprezzabile lo sforzo compiuto dalla band nel tentativo di creare un marasma grezzo ed assassino che trasporti l’ascoltatore in una tempesta di fiamme e zolfo degna dell’inferno ed alcuni riff, sorretti da una produzione corrotta e marcissima, non sono niente male, ma tali buone qualità non sono sufficienti a far guadagnare una valutazione pienamente positiva a questo lavoro che risulta, a conti fatti, piuttosto prevedibile e noiosetto. Ed è un peccato perché i nostri, quando abbandonano momentaneamente le soluzioni consuete, dimostrano di saperci fare, come nella sulfurea strumentale “Allax Xul” dove fanno capolino delle tastiere davvero inquietanti e demoniache. “The Goat Of The Black Possession” è in definitiva un disco genuino e colmo di dedizione, ma mostra tutte le pecche di un gruppo acerbo e destinato probabilmente a rimanere relegato anche in futuro nel sottobosco underground.
