La recente ristampa da parte della Battle Kommand Records mi offre l’opportunità di recensire il debutto sulla lunga distanza dei Ruins Of Beverast, one man band tedesca dietro la quale si cela Alexander Von Meilenwald, già impegnato in progetti quali Nagelfar e Kermania. “Unlock The Shrine”, originariamente edito nel 2004 dalla neonata Vàn, è un’opera prima varia e multiforme, carica di oscura pazzia e sottile perversione che serpeggiano sinistre in ogni traccia sviluppando un percorso musicale arduo e tortuoso nel quale il black metal si fonde con molteplici elementi stranianti. La base delle composizioni del nostro è un black di buona fattura, abbastanza melodico ma fondamentalmente pesante e drammatico, con diversi evidenti richiami ai migliori Shining nelle parti più malinconiche ed angoscianti e ai primi Abyssic Hate per quanto riguarda i momenti più tirati e selvaggi. Il tutto è pregno di un senso di mesta e depressa rassegnazione che trasuda morte e corruzione, sentimenti ulteriormente amplificati dalla presenza di intermezzi dark ambient o vagamente industriali che si alternano alle song vere e proprie fungendo da collante tra le stesse e creando un opprimente senso di attesa. I pezzi, tutti dal minutaggio piuttosto sostenuto, sono un caleidoscopio di emozioni nere, anch’essi solcati da profonde influenze rumoristiche, così come da tentazioni psichedeliche o avanguardistiche che tessono subdole e fantastiche trame al di sotto del tessuto black. Un episodio a parte, ma molto riuscito, è “Summer Decapitation Ritual”, caratterizzata da un incipit forsennato interrotto da una parte centrale nella quale le chitarre cedono improvvisamente il posto ad una sorta di arpeggio medieval-industriale davvero inusuale ed evocativo. Le tastiere sono utilizzate con parsimonia ma incidono profondamente nel songwriting dell’album incarnandone l’anima più tetra e dannata; anche la registrazione, pulita ma leggermente soffocata, è in linea con lo spirito allucinato e mefistofelico dell’opera. Il vero limite di questa release, che ci consente di considerarla il parto ancora parzialmente immaturo di una mente malata piuttosto che un compiuto capolavoro, è dato dal fatto che Von Meilenwald indulge con eccessiva lungaggine sulle medesime soluzioni, che, per quanto originali e deviate, alla lunga finiscono per risultare di difficile assimilazione, quasi compiacendosi del proprio genio anziché imbrigliarlo in strutture più solide e contenute, esagerando nei preziosismi e perdendosi in troppe diverse direzioni: in altre parole l’iniziale effetto spiazzante svanisce col passare dei minuti e ad esso subentra un vago senso di incompiutezza. A conti fatti “Unlock The Shrine” costituisce comunque un ottimo esordio, al di sopra della media delle uscite degli ultimi anni per coraggio e creatività, ma forse troppo eterogeneo e poco coeso. Quanti amano sonorità “cosmiche” e soffuse dovranno dedicarci in ogni caso almeno un ascolto.
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