“Morte io ti chiamo madre / torno tra le tue membra / e ti porto dolore / Rabbiosi, tra i corpi muti, / attendono nella polvere / Ascolta il silenzio dei / lupi che non dormono / Voce / tra le urla soffocate / dei vermi della terra / Ed ogni cosa brucia / ogni cosa brucia”. Il debutto sulla lunga distanza dei nostrani Visthia è un’opera di notevole spessore, la labirintica espressione musicale della ferocia controllata dalla mente, che si dipana nel mistero delle liriche in latino (lingua poetica per eccellenza) e nella furia di un black metal preciso e chirurgico come la lama di un rasoio. Il riffing è di scuola svedese e ricorda a tratti i Dark Funeral, ma ha una sua personalità e dipinge scenari cupi e romanticamente decadenti, intrisi del sapore della morte, dolce e disperato come il sangue rappreso sui polsi dell’eterea fanciulla raffigurata in copertina. Il feeling è meno infernale rispetto a quello del gruppo citato, più freddo e “cosmico”, lucido e asettico nel costruire le proprie geometriche e oscure melodie, dipingendo carcasse bizzarre e liquide che si dibattono nei cori di “Vultus Noster”, nella potenza nichilista di “Summa Alba Potentia”, nei passaggi tortuosi ed apocalittici di “Via Spinarum”. Il suono è pulito e cristallino ma non plastificato e ovattato come nelle produzioni pompatissime di qualche odiosa major, il tutto esalta alla perfezione la struttura definita delle songs, sempre mutevoli eppure monolitiche nella loro Forma Ultima che trasuda un sentimento di religiosità morbosa e suicida alla Deathspell Omega. “Reditus Conscientia” è un disco di grande valore che si insinua pericolosamente nei territori più reconditi dell’anima, un disco concepito per palati fini, poco immediato forse ma sicuramente prezioso, da centellinare come un vino d’annata.
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