I bolognesi Tod con questo “Black Metal Manifesto” dimostrano di essere una band pienamente consapevole delle proprie potenzialità e riescono a staccarsi definitivamente di dosso la fastiosa etichetta di gruppo clone dei Darkthrone, che era stata loro affibbiata (per la verità non del tutto a torto) all’epoca dei loro primi lavori, “Hate Campaign” e “Hymn To The Death”, forse ancora acerbi e poco originali ma comunque validi. L’influenza dei norvegesi si fa ancora sentire (d’altra parte non c’è scampo: se si vuole suonare cold black metal bisogna pagare dazio a Fenriz e Nocturno Culto) ma non è più un pesante fardello ed il quartetto italico ha finalmente elaborato la lezione dei maestri contaminandola con massicce dosi di melodia senza perdere un’oncia della freddezza e dell’oscurità originarie. L’opener “ White Noise” e la successiva “The Black Dying Light” sono un perfetto esempio di quanto appena detto, pur legate in parte al “vecchio” songwriting della band, trasudano un’impenetrabile e lacerante tristezza, figlia della nuova ispirazione del gruppo nostrano. Il picco compositivo dell’album si raggiunge con le successive “Apathy” e, soprattutto, con la suite “Suffering, Beloved”: in questi pezzi l’elemento melodico, di stampo quasi finlandese, prende decisamente il sopravvento facendosi veicolo di una malinconia sofferta e infinita, grigia come la nebbia d’inverno, profondamente lancinante, sorretta da un cantato monocorde e da suoni impastati anche se non rozzissimi. Dopo la parentesi raw oriented di “Burning Kingdoms”, a metà tra gli onnipresenti Darkthrone e i Gorgoroth degli inizi, ecco la doppietta “Death…”, “…And Rebirth” a chiudere alla grande con una colata di pulsante negatività questo plumbeo affresco di dolore e misantropia. Sinceramente non mi aspettavo una simile maturazione dai Tod ai quali vanno i miei più sinceri complimenti (anche per la copertina provocatoria…).
