Interessante e veramente oscuro questo disco d’esordio dei francesi Woest, band finora sconosciuta che debutta direttamente sulla lunga distanza con un lavoro che va ad inserirsi con prepotenza nell’alveo di quella tradizione black industrial che nel territorio transalpino ha prodotto negli ultimi anni gruppi degni di nota, come Autokrator, Edicius, Blacklodge e NKVD, tra gli altri. Anche i Woest, tra le cui fila militano personaggi che hanno bazzicato la scena grind/crust di Marsiglia, recuperano questo genere di sonorità e ci offrono un lavoro compatto e malsano, dominato da suoni opprimenti e da atmosfere che rievocano desolazione metropolitana e metalliche, assortite morbosità. Nel caso specifico di questo “La Fin De L’Ere Sauvage” abbiamo anche un concept ispirato all’universo immaginario e barbarico rappresentato nelle opere di Robert E. Howard (creatore tra l’altro di Solomon Kane e Conan il Barbaro e tra i massimi esponenti della letteratura fantastica e d’avventura statunitense del secolo scorso). I Woest non pretendono certo di reinventare un sottogenere che risulta delineato ormai da tempo nei suoi tratti essenziali e identificativi di massima ma riescono a dire la loro con una certa sicurezza e personalità, affidandosi a linee di chitarra grasse e pastose e prediligendo decisamente i ritmi lenti, pesanti e pachidermici rispetto alle accelerazioni furiose che comunque non mancano. E così, pur non stravolgendo nulla e senza indulgere in vuoti sperimentalismi, i nostri riescono nell’intento di dipingere efficacemente paesaggi disabitati e scenari post apocalittici, grazie a un sound che si abbatte sull’ascoltatore con lentezza e costanza, come un inesorabile martello sull’incudine. Non mancano le vocals declamate/autoritarie tipiche del genere e i Woest riescono anche a creare pezzi sufficientemente vari da non far scemare l’attenzione di chi ascolta, utilizzando in modo intelligente tastiere alienanti e rumorismi vari, senza mai cadere nella cacofonia fine a sé stessa. Insomma “La Fin De L’Ere Sauvage” è un lavoro che risulterà godibile per tutti gli estimatori di queste sonorità e della tradizione che unisce con un invisibile filo rosso bands come Mysticum, Diabolicum o i nostrani Aborym, ma anche Ministry e Godflesh. Buon massacro.
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