Paura del numero 666, questo il significato della piuttosto impronunciabile locuzione greca “Hexakosioi Hexekonta Hexa Phobia”, titolo del nuovo, alquanto inaspettato disco dei leggendari Bethlehem. Facenti sicuramente parte di quella malaugurata schiera di artisti che non ha mai raccolto in proporzione a quanto seminato, il combo teutonico guidato dall’enigmatico Jürgen Bartsch non ha infatti smesso di stupire, spiazzare, (r)innovare sé stesso e i vari generi visitati, oppure sostanzialmente creati ex-novo, su ogni singola uscita discografica, blasonata o meno. Già, perché è fuor di dubbio che senza album come “Dictius Te Necare” (1996) e “S.U.I.Z.I.D.” (1998) difficilmente potremmo parlare di depressive e/o post black come facciamo ora. Omaggiati in lungo e in largo da schiere di band, ai Bethlehem non è mai importato granché affermarsi come sensation musicale estrema, come dimostrano gli svariati suicidi commerciali che costellano la loro carriera. In questo variegato panorama di eventi, il nuovo, scurissimo “Hexakosioi Hexekonta Hexa Phobia” si inserisce con la giustezza di un pezzo di puzzle perfettamente cesellato sui contorni di ciò che gli sta accanto, riassumendo e condensando in buona sostanza tutto il percorso musical-culturale del gruppo. Nella dozzina di tracce proposte c’è infatti spazio per allucinazioni ambient (“Nazi Zombies Mit Tourette-Syndrom”, titolo geniale, per altro), divagazioni trip-hop, ma anche macigni death (“Verbracht In Plastiknacht”) e rasoiate black (“Spontaner Freitod”), il tutto opportunamente avvolto nel classico sudario decadente e psicologicamente instabile della band, non a caso artefice di quel caposaldo intitolato “Dark Metal” (1994). La qualità compositiva qui è ai massimi livelli, riscattando con piena lucidità e concentrazione alcuni episodi sicuramente meno brillanti del recente passato (“A Sacrificial Offering To The Kingdom Of Heaven In A Cracked Dog’s Ear”, 2009), così come la resa audio, potente e definita, e soprattutto con un feeling caldo e naturale, per quanto sia possibile, dato il sound in questione. In conclusione il buon Bartsch corre seriamente il rischio di finire al top degli album 2014, e per uno schivo misantropo schizoide come lui si tratta di un pericolo non da poco. Buon per noi! Welcome back, dear Bethlehem!
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