La one-man band russa Narath, per quanto assolutamente underground e poco nota al di fuori dei patrii confini, è una realtà decisamente interessante, per la sua abilità nel fondere estremismi sonori e istrionismi compositivi di varia natura, giungendo a quel che il main-man Anders ‘Engel’ Lindemann chiama “black-like metal”, per il suo spiccato e persistente mimetismo stilistico e concettuale. L’ultimo suo album, “Pulsar”, che si accoda a un’imponente discografia di full length, ep, split e altre uscite più o meno ufficiali, ribadisce le qualità e la volontà del progetto, che per certi versi può assomigliare alle frange sperimentali del black francese (cfr. Pensées Nocturnes e Peste Noire), in cui il gusto teatrale e sopra le righe degli arrangiamenti ben bilancia il rigore delle strutture fondamentali, a livello ritmico e armonico. Piacciono in questo senso episodi intensi e mutevoli come “Sexuality Of A Grave” e “Eat Me!”, perfetti esempi del modus componendi del polistrumentista di San Pietroburgo. Pur senza far gridare ad alcun miracolo artistico, i Narath riescono dunque a intrattenere con tutta l’intelligenza e convinzione del caso, meritandosi, a mio giudizio, un posto di riguardo nel sempre affollato sottobosco estremo di settore.
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