Bergen, Norvegia. Se non il fulcro quantomeno uno degli hotspot della scena black scandinava, sia per quanto riguarda i grossi nomi (Taake su tutti) sia per l’underground, dal qualche emergono i Galar, duo composto da Kristiansen (screams, chitarre, basso) e Lautizen (clean vocals, fagotto, piano), a cui si è recentemente aggiunto in pianta stabile Myklebust (drums). La band ha pubblicato il suo terzo album, “De Gjenlevende” (it: il sopravvissuto), lavoro che dimostra tutte le ottime qualità in loro possesso. Ipoteticamente inquadrabili come un mix fra l’epica avanguardia dei primi Solefald e l’iconoclasta malvagità dei già citati Taake, i Galar propongono un impasto sonoro che al glaciale black d’ordinanza, per altro ben eseguito, associa parentesi d’archi, ottoni e piano, senza assolutamente sfociare nel sinfonico propriamente detto, ma anzi rimanendo saldamente ancorati alla disadorna violenza sonora tipica della tradizione di genere (cfr. “Natt… Og Taust Et Forglemt Liv”). Il risultato è un mix dalla sorprendente freschezza, che ha nella varietà uno dei suoi punti forti, assieme all’appeal epico che mai abbandona queste sei articolate composizioni, che traggono ispirazione dal folklore pan-europeo, letteratura e filosofia scandinava (cfr. “Tusen Kall Til Solsang Ny”), anche grazie all’opportuno lavoro di produzione, curato da Bjørnar Erevik Nilsen e Herbrand Larsen (degli Enslaved) presso i Conclave & Earshot Studios. Ben in grado di maneggiare minutaggi non indifferenti, sopratutto in campo black, i Galar convincono dunque su tutta la linea, e viene spontaneo chiedersi perché non siano già fra i big del genere in questione, sebbene sia forse proprio questa loro natura defilata a permettergli tale e tanta libertà compositiva, ben tradotta nell’entusiasmante qualità di “De Gjenlevende”.
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