Recensire il nuovo album di una band che ha scritto pagine importanti nella storia del black metal dal 1986 (anno della sua formazione) ad oggi non è certamente agevole, perché si rischia di restare prigionieri del mito e di non giudicare il lavoro con il dovuto distacco “professionale”. È indubbio che il combo alessandrino sia stato tra i primi a concepire e suonare in un certo modo il metal estremo ed è altrettanto indubbio che opere quali “Into The Drape” o “All The Witches Dance” costituiscono indiscusse pietre miliari del genere. Tuttavia, e lo dico senza timori reverenziali di sorta, ultimamente ho notato una certa flessione tanto nell’ispirazione quanto nel songwriting dei Nostri, che è risultata evidente e preoccupante soprattutto nel precedente, assai deludente per il sottoscritto, “Tolling 13 Knell”; ed anche saggiati in sede live circa due mesi or sono in quel dello Zoe Club di Milano, in una serata comunque infausta per la gran parte dei gruppi presenti, non è che i Mortuary Drape abbiano suscitato i miei entusiasmi. Ma andiamo con ordine. Il nuovo album segue di quattro anni il suo predecessore e può vantare una produzione bomba, decisamente nitida e con una scelta di suoni davvero azzeccata, grazie all’ottimo lavoro svolto da Alex Azzali agli Alpha Omega Studio di Como. È evidente lo sforzo compositivo della band (nella quale, a parte il singer Wildness Perversion, sono cambiati praticamente tutti i membri rispetto alla formazione originale) che da sfoggio della propria abilità tecnica con pezzi lunghi (a volte anche eccessivamente) e complessi, caratterizzati da passaggi molto tecnici ed elaborati e da continui cambi di tempo. Eppure c’è qualcosa che non va, all’ascolto si prova un diffuso senso di delusione. Ho letto diversi giudizi su questo album e a detta di alcuni “colleghi” questa sensazione deriverebbe dalla preponderanza in questo disco delle parti thrash-death rispetto a quelle atmosfere morbose ed occulte che invece caratterizzavano i primi lavori della band. Ma personalmente non credo sia soltanto questo. Quell’aura oscura e misteriosa che costituiva una sorta di trade mark del gruppo è in parte rimasta, quanto meno a livello di testi e di concept, seppur meno evidente che in passato, meno pregnante. E allora? A mio avviso i Mortuary Drape hanno dato alle stampe un lavoro inattaccabile dal punto di vista tecnico, direi perfetto formalmente, ma, ahimè, e proprio questo è il punto, privo di anima, privo di quel mood spirituale, di quella magia recondita e poetica che li aveva resi grandi agli esordi. È come se avessero confezionato un involucro esteriormente accattivante ma privo di sostanza all’interno. Intendiamoci, non tutto è negativo in questo album. Il vocione cavernoso di Wildness Perversion concede sempre qualche brivido, le songs sono molto veloci e potenti, tutte piuttosto thrash oriented, e non mancano gli episodi riusciti come “Ectoplasm” o “Who Calls Me”, la migliore del lotto, e questo forse basterà ad accontentare i fans meno esigenti del quintetto nostrano (e a giustificare il voto finale) ma non me. Io dai Mortuary Drape pretendo ben altro, pretendo la magia. Quella magia che sembra svanita per sempre con “Secret Sudaria”.
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