Momentaneamente scomparsi dai radar musicali dopo il notevole “Gin” (2009), gli americani Cobalt, alfieri di un certo modo, evoluto e libero, di fare black metal, che definirei semplicisticamente post-moderno, tornano finalmente, dopo ben sette anni di iato, col nuovo “Slow Forever”, doppio album che si fa decisamente perdonare la lunga attesa. Composto da 84 minuti di una caustica e personalissima miscela di crust, doom, black, folk e noise, il nuovo parto dei Cobalt è a tutti gli effetti una rinascita, stante anche il radicale avvicendamento di line-up intercorso. Ad accompagnare il mastertmind Erik Wunder, ora dietro al microfono c’è infatti Charlie Fell, screamer già ben noto alle scene USBM (Negative Mantra, ex-Abigail Williams, ex-Lord Mantis, ex-Nachtmystium), che contribuisce non poco a conferire un tocco personale ad un’opera che doveva, per forza di cose, essere in qualche modo speciale. Obiettivo perfettamente centrato, a giudicare dall’impressionante forza evocativa che i due ragazzi del Colorado sprigionano in questi 12 brani, lunghi, articolati e mutevoli, come delle vere e proprie mini-suite crust-black, che incrociano ipoteticamente la lezione dei Neurosis con i Today Is The Day. A cominciare dalla splendida opener “Hunt The Buffalo” la chitarra di Wunder non trova infatti requie, nel proporre tessiture chitarristiche che alternano, senza soluzione di continuità, ritmiche martellanti e cariche di groove a velenose soluzioni melodiche, riuscendo a coprire un panorama di suggestioni stilistiche incredibilmente vario, dal blues al black (“King Rust”), dall’hardcore (“Ruiner”) al dark-folk (“Breath”). Epico, nichilista, psichedelico e caotico come una rissa da strada, “Slow Forever” prende dall’album precedente lo spirito vitalistico hemingwayano (non a caso presente su “Iconoclast” col suo speech per il Nobel), calandolo in una realtà selvaggia, ai limiti della psicosi, memore di un certo Hunter S. Thompson. Black post-moderno, si diceva, tanto contaminato quanto inaspettatamente colto, ma non per questo meno minaccioso e inquietante. Non è infatti un caso che Wunder, nel corso di una recente intervista, abbia brillantemente sintetizzato le caratteristiche ideali del suo approccio stilistico come una spada a doppio filo, che se da un lato parla direttamente al lato primordiale e selvaggio insito nell’uomo, scatenando le reazioni più animalesche e selvagge, d’altro canto è in grado di promuovere un grande processo di elevazione spirituale, catarsi e illuminazione, in una fusione fredda di istinto e spirito che è davvero la quadratura del cerchio della ricerca artistica a lungo inseguita dal genere in questione (e forse realisticamente non solo). Fatte queste debite considerazioni formali, necessarie a stabilire la fondamentale alterità di questo lavoro/gruppo, rispetto alla stragrande maggioranza della scena di riferimento, “Slow Forever” è anche e sopratutto un’opera immediatamente godibile e dall’impressionante freschezza e personalità, traguardi raggiunti senza utilizzare sperimentalismi o innovazioni di sorta, ma “soltanto” un gusto incredibile per il ritmo e costante lucidità di struttura, coerentemente affinati, senza alcun momento morto, lungo tutti e 84 i minuti di questa entusiasmante cavalcata metallica nella notte nera, anzi, Cobalt, dell’animo umano.
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