Nati nel 2002, i napoletani Gort sono giunti all’invidiabile traguardo del quindicesimo anno di attività. E quale modo migliore di celebrare questa importante ricorrenza dell’uscita di questo “A Morte Ad Mortem”? Ep che, lo dico subito, conferma i nostri tra i più tetragoni e credibili interpreti italici del raw black metal nella sua forma più pura ed incontaminata. La band partenopea infatti fin dal suo esordio, che attirò le positive attenzioni niente di meno che di un certo Fenriz, si è sempre mossa nei territori del metallo nero più glaciale e sferzante, devota in tutto e per tutto alla lezione impartita dalla così detta seconda ondata, che dettò legge nella prima metà degli anni novanta, spostando un po’ più in là l’asticella dell’estremismo sonoro metallico, fino ad un limite difficilmente superabile e ad oggi di fatto insuperato. E anche questa nuova uscita in casa Gort, un concept sulla peste nera che nel corso del XIV secolo imperversò nel Vecchio Continente, non spariglia le carte e si va ad inserire nel solco della tradizione, con in più una maggior consapevolezza compositiva che il gruppo esprime con orgoglio attraverso pezzi a un tempo granitici e colmi di atmosfere malsane e maligne. La rinnovata line up non ha fatto virare l’ensemble nostrano verso altri lidi: le coordinate stilistiche restano sempre quelle, a metà strada tra Norvegia e Finlandia, in un ideale e malevolo connubio tra Darkthrone e Horna, Gorgoroth e Satanic Warmaster, con una più intensa dose di cattiveria che rende “A Morte Ad Mortem” probabilmente il lavoro più carico d’odio, violenza e misantropia finora partorito dal quartetto campano. Si diceva dei cambi di formazione: i due nuovi arrivati, Eurystheus al basso e Illness alla voce (che va a sostituire lo storico singer Lord Lemory e lo fa egregiamente, grazie ad uno screaming a mio giudizio ancora più lacerante e demoniaco di quello del suo predecessore) sono perfettamente integrati con lo spirito della band, la cui anima musicale continua ad essere rappresentata dal riffing mortifero e malinconico di Wolf e dal drumming forsennato ma puntuale di Einherjar Ingvar. Sia chiaro, i Gort non inventano nulla e non vogliono inventare nulla, suonano semplicemente quello che più piace loro e lo fanno con convinzione, onestà e perseveranza, virtù che alla lunga pagano sempre. Insomma mantengono ciò che promettono, rispettando scrupolosamente tutte le regole del genere d’elezione: come un buon film horror vecchia scuola, che non tradisce mai le aspettative perché si rivolge ad un certo tipo di pubblico e ne condivide la passione. E del resto come si può restare indifferenti all’ascolto di un pezzo tritaossa come “Nigra Imperatrix”? Forse la vera epitome dell’attuale stato di forma dei Gort, che continuano imperterriti a spargere i loro miasmatico morbo musicale senza volerne sapere nulla di sperimentazioni o commistioni di varia natura. Per una volta quindi smetto i panni del severo recensore per indossare quelli dell’ascoltatore entusiasta perché ci sono alcuni dischi che ti riportano indietro, ad anni in cui il black metal era davvero una musica oscura e pestifera. Bravi.
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