I Moontower sono sicuramente da annoverare tra le bands di spicco del panorama underground polacco: attivi da qualche anno, propongono un black metal grezzissimo e furioso, decisamente satanista nei testi, nell’immagine e nell’attitudine, a dispetto della partecipazione dei Nostri al Pagan Front, come del resto molti gruppi loro connazionali. Il dischetto in questione poggia saldamente le proprie basi stilistiche in un sound che sembra porsi a metà strada tra il capolavoro assoluto “Transilvanian hunger” e il successivo “Panzerfaust”, in quel limbo sonoro tra l’oscura e ruvida melodia del primo e la truce e inarrestabile carica distruttiva del secondo. I Darkthrone quindi sono indiscutibilmente il punto di riferimento di Seth e Belial (questi i nomi dei membri dei Moontower) che di loro ci mettono soltanto un ulteriore imbarbarimento dei suoni e una voce glaciale e rauca dalla vena burzumiana, che pare provenire direttamente dall’inumano abisso dell’inferno. Il disco, supportato da una produzione che definire artigianale sarebbe un eufemismo, procede come un caterpillar e non si ferma neppure per un istante, se non in rarissimi momenti più cadenzati nei quali sono le chitarre a farla da padrone costruendo melodie semplici ma efficaci che rendono ben percepibile, quasi toccabile con mano, il freddo del clima dell’Est e il vuoto dell’animo umano. I volumi delle chitarre sono altissimi, come nelle produzioni dei primi anni novanta, i suoni sono gracchianti e lugubri al tempo stesso, il basso è inesistente e la batteria, che picchia a mille all’ora per il novanta per cento della durata dell’album, assomiglia a tratti a un tamburo di latta (chi ha detto Bathory?). Questi i pregi e i difetti dei Moontower: prendere o lasciare. La band ha completamente abbandonato l’uso delle tastiere che rendevano più vario, “ingentilendolo” a tratti, l’andamento delle loro composizioni, come avveniva nel precedente mini “Wolf’s hunger”. Qui il black metal parla la sua lingua più oscura ed intransigente, con riffs semplici e veloci, ripetuti ossessivamente dall’inizio alla fine delle songs, imbastardite solo da qualche, rara, incursione nel thrash più selvaggio. In definitiva un prodotto di media qualità per gli amanti delle sonorità old school più dure e pure.
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