Gli svizzeri Samael sono probabilmente uno dei gruppi meno blasonati della scena metal mondiale; sarà per la provenienza da una delle nazioni che meno fanno parlare di sé, sarà per l’umiltà e la riservatezza di Vorph e soci, sarà per le eccessive trasformazioni musicali, ma questi camaleontici nostri “vicini di casa” non sono mai stati tenuti abbastanza in considerazione dagli addetti ai lavori. E ciò è male, visto che i Samael sono stati gli autori di vere e proprie pietre miliari nella storia di questo genere musicale (almeno fino a questo “Passage”), nonché tra i primi gruppi estremi che hanno fatto della propria evoluzione una ragione di vita, passando dal marciume del leggendario “Worship Him” (risalente addirittura al 1990), alla seppur grezza modernità di “Ceremony Of Opposites” (1994) fino ai territori puramente industriali degli ultimi sforzi della band, di cui questo “Passage” è sia il capostipite che la punta di diamante. Già, perché abituati ai riff grezzi tipicamente doom/black dei precedenti lavori, fin dalle primissime note dell’opener “Rain” ci si accorge che qualcosa è cambiato in casa Samael. Non vi è più quella pesantezza sulfurea e funerea da sempre trademark del gruppo, ma, seppur mantenendo lo stesso spirito blasfemo, qui si respira freschezza e persino bagliori di luce, analizzando il concetto di Male sotto un’ottica completamente diversa, maggiormente improntata su una visione cosmica e ultraterrena, ricreando un’aura più “astrale” rispetto al passato, mentre dal punto di vista musicale si varcano i confini di un perverso e gelido industrial ricorrendo all’uso massiccio di sintetizzatori e campionamenti veramente azzeccati e particolarmente originali. Sicuramente gli 11 brani compresi sono tra le composizioni più ispirate ed emozionanti mai scritte dal combo di Sion, ma vorrei soffermarmi in particolare sulla già citata “Rain”, “Jupiterian Vibe” (chi non la conosce corra immediatamente a rimediare!) e “Born Under Saturn” (un pezzo che rivela il lato più oscuro e inquietante dell’Universo), ovvero le perle, i capolavori, o meglio ancora, le classiche songs che giustificano l’acquisto dell’intero album. Purtroppo, almeno per il sottoscritto, i successivi capitoli della saga Samael non sono mai riusciti nemmeno ad avvicinarsi ad un così alto livello di perfezione stilistica e compositiva. “Eternal” é un costante alternarsi di alti e bassi e il recente “Reign Of Light” non é sicuramente eccelso, anche se non per questo non meritevole di attenzione, dato che ha portato questa band a quasi 20 anni dalla sua nascita (1987), a livelli di fama mai raggiunti prima. Ritornando all’album in questione è doveroso ribadire che in ogni singola nota di questo piccolo e incompreso gioiello si può respirare passione, convinzione e vera ispirazione (nonostante sia uscito sotto una major come la Century Media) di un gruppo che ha contribuito in percentuale assoluta (insieme ai Mysticum) all’utilizzo delle tanto amate/odiate contaminazioni elettroniche che verranno adottate più o meno gloriosamente da parecchie band tutt’oggi saldamente ancorate ai vertici. Fondamentale, che vi piaccia o no!
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