Ci sono dei dischi che, con il passare degli anni, delle correnti e dei sentimenti stilistici, riescono a rimanere in qualche modo fedeli a sé stessi, intatti, sebbene con periodi di differente popolarità e diffusione. In campo black un ottimo esempio può essere “Nachthymnen” degli Abigor (1995). Messo nel dimenticatoio mediatico dopo il fisiologico tramonto dell’epico lustro ’90/’95, l’oggettiva qualità di questo album è inevitabilmente riemersa, sia di per sé stessa, sia come determinante influenza di altre band successive. Ipoteticamente classificato come raw neo-classical melodic black, questo lavoro dell’allora terzetto austriaco contiene in nuce tutti gli elementi caratterizzanti il genere nero: romanticismo, epicità, aggressività, occulto, folklore; tutti opportunamente fusi a formare un corpus unitario dall’impressionante peso specifico. Rispetto alle più recenti prove del rinato combo transalpino (“Leytmotif Luzifer”, 2014) “Nachthymnen (From the Twilight Kingdom)” suona decisamente meno avanguardistico, ma non per questo stereotipato o tradizionalista. In canzoni come “Scars In The Landscape Of God” oppure “Revealed Secrets Of The Whispering Moon” sono infatti rintracciabili i medesimi istinti sperimentali che contraddistinguono il modus componendi di Peter Kubik e Thomas Tannenberger, nucleo fondativo del gruppo, assieme al vecchio sodale Michael “Silenius” Gregor (cfr. Summoning). Riascoltato ora, a ben 20 anni di distanza, “Nachthymnen” resiste all’usura grazie al suo essere vasto e vario affresco di un’epoca, cosa che non è del tutto riuscita a molti altri pur validi dischi coevi, che oggi suonano decisamente limitati e datati, o, a voler esser benevoli, vintage (“Octagon”, “Kiss The Goat”, “Høstmørke”, “Thousand Swords”, ad esempio). Un plauso dunque alle capacità degli Abigor, che, malgrado il non grandissimo riscontro suscitato ai tempi, quantomeno fuori dal circuito strettamente underground, non hanno mollato il colpo, prendendosi tutto lo spazio necessario a cesellare il loro sound e concetto musicale (cfr. lo sperimentale “Time Is The Sulphur In The Veins Of The Saint”, 2010), senza perdere la propria identità e il legame con questo illustre passato. Parafrasando il titolo dell’opener in oggetto, Unleashed Abigor-Age”!
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