È possibile secondo voi coniugare atmosfere liquide alla Pink Floyd con riff black-punk alla Nattefrost? Magniloquenti, oscure ed epiche cavalcate degne dei migliori Hypocrisy con furiosi blast beats di chiara estrazione floridiana? Difficile, certo, ma non impossibile ed infatti i Morvigor ci riescono egregiamente e il sorprendente risultato del loro sforzo creativo è sintetizzato in questo “Tyrant”, opera seconda di questo indecifrabile quintetto olandese, formatosi qualche anno fa e con all’attivo, oltre al presente lavoro, il full length d’esordio “A Tale Of Suffering”, datato 2014. La band dimostra fin dalle prime note grande versatilità compositiva ed esecutiva, oltre ad invidiabili doti tecniche, che in questo caso sono anche adeguatamente supportate da una produzione potente e cristallina (comunque tutt’altro che patinata o eccessivamente pompata), indispensabile per apprezzare appieno i caleidoscopici cambi d’umore e di colore che il gruppo ci propone in canzoni lunghe ed articolate, intervallate da brevi interludi strumentali che fungono da intro e outro delle composizioni vere e proprie. Benché i nostri mettano in mostra un approccio decisamente avanguardistico e sperimentale, siamo ben lontani dalle stravaganti elucubrazioni musicali così comuni quando si bazzica questo genere, tanto affascinante quanto troppo spesso inutilmente autoreferenziale: in questo album al contrario tutto procede fluido e le canzoni mutano più volte forma in maniera assolutamente naturale in un trascolorare continuo ed ininterrotto di emozioni e stati d’animo spesso aspramente contrastanti, in un’alternanza calcolata tra sinuose ed avvolgenti melodie e passaggi molto più aggressivi e ruvidi di matrice puramente death-black. E basti ascoltare “Blood Of The Pelican”, lunghissima suite di oltre quindici minuti di durata che scorrono tutti d’un fiato, per avere un’idea di quanto appena detto. I Morvigor riescono con naturale semplicità laddove moltissimi prima di loro hanno miseramente fallito, ovvero nell’intento di unire tradizione e puro avant-garde senza risultare pretenziosi nemmeno per un attimo, regalandoci un disco che suona piacevole sia per il cervello che per il cuore . E visto l’attuale stato della scena extreme metal underground non è certamente cosa da poco. Vogliamo scomodare i Celtic Frost di “Into The Pandemonium”? Ma sì, fatte le debite proporzioni, è un paragone che tutto sommato ci potrebbe anche stare. A voi l’ardua sentenza.
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