Album d’esordio per i polacchi Gontyna Kry, il cui titolo significa qualcosa come “il sangue dei nostri padri”. L’intenzione del gruppo è quella di cantare i fasti gloriosi dei loro barbari avi, riportare alla luce le loro imprese, dare nuova linfa all’orgoglioso spirito pagano e al pathos guerriero che li animava. A questo substrato concettuale fa da contraltare una musica che segue le coordinate di un epic black metal di buona fattura, che riprende la lezione degli immortali Bathory rivista e corretta attraverso un gusto dell’atmosfera tipicamente est europeo, chiamando in causa soprattutto i conterranei Graveland e Juvenes. Dopo una duplice intro con tanto di vento ululante e versi di cornacchie, irrompe la maestosa title track, uno dei momenti più riusciti dell’album, che alterna passaggi cadenzati di grandiosa epicità a sfuriate violentissime, sempre accompagnate però da un flavour tastieristico che dona all’intera opera un’atmosfera magica e sognante. Proprio le tastiere, mai invadenti ma capaci di creare un tappeto sonoro di grande impatto, trasmettono all’ascoltatore quel senso di morte e predestinazione tipicamente pagano, amalgamandosi perfettamente con il lavoro delle chitarre, di indubbio valore, e con lo screaming del singer Komes Lupul Kurhan, quasi uno strumento tra gli strumenti. Da segnalare sono anche la sesta traccia, molto veloce e dall’andamento tipicamente heavy, e l’ottava, semplicemente perfetta nel suo alternarsi tra atmosfera e violenza, forse il vero picco qualitativo del disco. Molto buoni anche gli intermezzi ambient, con tanto di clean vocals molto profonde e “recitate”, che permettono all’ascoltatore di rifiatare prima che l’assalto ricominci. Un disco da ascoltare, anche se forse sarà un po’ difficile procurarselo trattandosi di un’edizione limitata a cinquecento copie numerate a mano.
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