Ho un dichiarato debole per i norvegesi Einherjer, amio avviso una delle poche riconducibili al filone viking metal band capace di essere credibile e profonda e di non risultare pacchiana o, come purtroppo molto spesso avviene, perfino ridicola. Il gruppo capitanato da Gerhard Storesund ha dato alle stampe nel corso degli anni autentici capolavori del genere come “Odin Owns Ye All” e questo “Dragons Of The North”, contribuendo in maniera decisiva alla nascita ed al consolidamento del pagan, recuperando, da un lato, l’insegnamento imprescindibile dei padri putativi Bathory e, dall’altro, il riffing e le atmosfere marziali di certo metal classico ottantiano. I suoni netti e levigati e la potenza dei pezzi possono infatti far pensare addirittura ai Manowar più datati, anche per il feeling epico che permea ogni nota, nonostante i nostri restino comunque un gruppo estremo sotto ogni punto di vista. Il songwriting è pregno di dolente malinconia e tutto l’album non è altro che una mesta ballata che canta dell’eroismo dei popoli nordici e della fine ineluttabile degli antichi e fieri valori, condannati alla decadenza e travolti dalla conquista cristiana e dalla modernità. La musica degli Einherjer riesce ad essere ad un tempo carica di pathos suggestivo ed estremamente “visiva”, facendosi veicolo immediato di immagini guerresche, paesaggi innevati, battaglie sanguinose e tiepide capanne immote nella bruma invernale: è davvero impossibile non farsi coinvolgere emotivamente dalla forza evocativa sprigionata da songs quali la title track, “Fimbul Winter” o la conclusiva “Ballad Of The Swords”, lasciandosi andare all’esaltazione dei cori più corposi per poi sprofondare nella nostalgica tristezza dei passaggi più riflessivi e meditabondi. “Dragons Of The North” è una pietra miliare del pagan metal da possedere a tutti i costi.
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