Gli Haemoth sono un duo transalpino capitanato da Haemoth, che si occupa di voce, chitarre e basso, coadiuvato nella sua opera di completa devastazione sonora da Syht alla batteria. Il disco in questione è uno dei più fulgidi esempi di puro e incontaminato satanic black metal di ispirazione darkthroniana che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi mesi. Ma c’è molto di più. Gli Haemoth non si limitano a scimmiottare la band di Fenriz e Nocturno Culto (come, purtroppo, fanno molti, troppi gruppi usciti di recente sul mercato) ma recuperano l’ispirazione più profonda della tradizione della musica nera per rileggerla alla luce di stilemi compositivi, se non originali, sicuramente personali e convincenti. Una pietra di paragone può forse essere costituita dai Craft. Come i colleghi svedesi anche gli Haemoth fanno del marciume e della linearità dei riffs il loro marchio di fabbrica, riuscendo tuttavia ad essere forse meno derivativi attraverso l’inserimento di parti più veloci e furiose che spezzano, anche se solo temporaneamente, il senso di claustrofobica vertigine creato dalla loro musica. Il meglio di sé però il gruppo lo regala proprio nelle parti maggiormente cadenzate e trash oriented, immergendo l’ascoltatore in un’atmosfera di negativa ed opprimente malvagità che avrebbe fatto invidia anche a molti maestri del passato. Su questa linea si sviluppano in special modo le songs iniziali, fino a culminare nella stupenda “Infested”, canzone lenta e “depressiva”, dove un cantato strascicato e filtrato completa l’opera di annichilimento perpetrata da un guitar work morboso ed agghiacciante. Il vero fiore all’occhiello dell’album è però la successiva “Agios o Baphomet!”, canzone che, come si suol dire, vale da sola il prezzo del cd. Riffs malsani di chiara ispirazione trash, supportati da una sezione ritmica a dir poco perfetta che conduce l’ascoltatore in un vortice di allucinazioni dolorose nel bel mezzo di un rituale satanico. Molto buona anche la conclusiva “Aeterne diabolus”. La produzione è in linea con un prodotto di questo tipo: grezza e ruvida, pecca soltanto là dove sembra mettere in eccessivo risalto il suono delle chitarre a discapito di basso e batteria, il che avviene soprattutto nelle parti più veloci del disco. Per il resto un lavoro quasi perfetto, che se fosse stato pubblicato dieci anni fa avrebbe forse fatto gridare al miracolo, ma che, anche oggi, si distingue dai molti prodotti di bands-clone, per personalità, attitudine ed indubbia capacità compositiva. Da avere.
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