Per il sottoscritto è stata una grande sorpresa questo lavoro dei finlandesi Abhordium, band attiva da oltre dieci anni e con alle spalle l’ep d’esordio “Declaration Of Perdition” del 2009 ed il full length “When Depravity Incarnates” del 2011. Un gruppo che, a quanto pare, centellina le uscite, dimostrando saggiamente di anteporre la qualità alla quantità. E questo “Omega Prayer” è infatti un album estremamente curato in ogni suo aspetto, dal songwriting alla produzione molto potente e nitida (ma per nulla pastificata), fino all’elegante edizione in formato digipack: tutto autoprodotto ma assolutamente ed apprezzabilmente professionale. Venendo al contenuto propriamente musicale, quello che ci propongono i nostri è una miscela sulfurea e demoniaca di death (molto) e black metal (un po’ meno), fondata su strutture complesse che restituiscono la sensazione di un caos primordiale e bestiale ingabbiato attraverso una tecnica esecutiva decisamente sopra la media. Le spesse e infernali stratificazioni chitarristiche, opera degli ottimi Jarkko Neuvonen e Markus Hiitola, sostenute da colate laviche di blast beats, cangianti ma sempre nere come la pece, non sono sicuramente di immediata assimilazione ma danno efficacemente corpo ad una tangibile atmosfera di puro ed autentico terrore lovecraftiano che rappresenta il sogno proibito di centinaia di gruppi estremi sparsi per il globo. E anche quando il quintetto di Salo cessa, solo per qualche istante, di essere la versione superincazzata e tendente al black dei Pestilence o dei primi Morbid Angel, preferendo soluzioni più dirette e brutali, come accade ad esempio nella malignamente evocativa “Asebeia” o nella granitica e dantesca “At The Highest Temple”, la resa resta comunque altissima, quanto di più lontano si possa immaginare dalla mediocrità e dal pressapochismo seriale che purtroppo caratterizzano moltissime opere underground. Non che gli Abhordium stravolgano le regole non scritte del genere di appartenenza, anzi vi si attengono scrupolosamente, ma l’abilità tecnica e la convinzione compositiva permettono loro di adagiarsi comodamente nel solco della tradizione senza per questo risultare una grottesca e sbiadita fotocopia: se aguzzate l’orecchio nel maelstrom sonoro noterete anche ampie divagazioni in territori religious, vicine a certi Deathspell Omega, così come un mai sopito piglio epico e oscuro ad un tempo. Da sottolineare anche la prova vocale del singer Kari Laaksonen, dotato di un’ugola polivalente, che spazia con facilità da un growling spaccaossa ad uno screaming inferocito e soffocato. Insomma gli Abhordium riescono a suonare freschi e moderni ma anche dannatamente old school e ci sparano in faccia un album vario ma anche compatto, estremo sotto ogni punto di vista ma anche cesellato in ogni minimo particolare. E scusate se è poco.
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