Settima fatica sulla lunga distanza per i Sigh, band giapponese capitanata da Mirai Kawashima e certamente non sconosciuta ai cultori della nera fiamma per i suoi trascorsi alla corte di sua maestà Euronymous. I nostri, dopo i fasti black metal del folgorante esordio “Scorn Defeat”, risalente al lontano 1993, hanno cambiato pelle, allontanandosi in maniera pressoché definitiva dalle sonorità del debut ed abbracciando una sorta di post black avanguardistico dalle forti influenze progressive, con risultati piuttosto altalenanti nel corso degli anni. Questo “Hangman’s Hymn” non è certo un capolavoro ma non può nemmeno dirsi uno dei dischi peggiori nella lunga carriera dell’act nipponico. L’uso di orchestrazioni talvolta eccessivamente pompose e dal flavour goticheggiante, unito ai numerosi cori ed all’andamento decisamente easy listening di alcune songs non potrà che far storcere il naso ai fans della prima ora, ma tali caratteristiche costituiscono anche il punto di forza di questa release. Brani come “Me-Devil” e “The Memories As A Sinner” non possono che colpire immediatamente l’ascoltatore grazie al loro groove accattivante, a cavallo tra il black più melodico e suggestioni provenienti direttamente dal metal classico ottantiano. Le trame chitarristiche sono sempre ariose e ben congeniate specie quando si intrecciano con gli oscuri e sinistri tappeti di tastiere, preponderanti nella suite conclusiva divisa in tre parti. Un lavoro godibile, non particolarmente sperimentale ma nemmeno privo di spunti interessanti, in grado di far trasparire tutta la classe e l’esperienza di un gruppo ormai da lungo tempo affermato in ambito underground, confermandolo a buoni livelli pur senza aggiungere o togliere niente a quanto già fatto sentire in passato.
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