Giungono alla loro quinta fatica sulla lunga distanza i Dorn, band proveniente da Francoforte, misconosciuta ai più nonostante sia attiva da almeno dieci anni, e molto probabilmente destinata a rimanere relegata tra le fila dei gruppi underground di mediocre livello. La proposta dei nostri si sostanzia in una sorta di black metal fortemente contaminato da elementi doom e gotici, che rimane però interessante soltanto sulla carta. Il combo tedesco infatti non riesce ad esprimere in maniera adeguata le proprie potenzialità perché sovrappone semplicemente queste influenze senza riuscire ad amalgamarle creando un sound che risulti effettivamente personale e convincente. I pezzi più fortemente black oriented come “Gottkind” e “Flammender Zorn” (quest’ultimo sicuramente l’episodio migliore dell’album) sono quelli più riusciti perché uniscono a sferzate veloci e ferali alcuni passaggi catacombali abbastanza indovinati. Per il resto è l’elemento death/doom a prevalere, con riff tuttavia davvero scontati e prevedibili, il cui unico punto di forza è costituito da qualche sporadico richiamo ai Paradise Lost o ai My Dying Bride dei tempi che furono. Il cantato in growling è assolutamente predominante ma risulta piuttosto banale e poco espressivo, mentre addirittura irritante è l’uso sistematico delle tastiere, eccessivamente invadenti, melense e dal sapore troppo gothic, che non riescono a creare, se non in qualche rara occasione, quelle atmosfere cupe e misteriose che probabilmente erano nelle intenzioni della band. In definitiva “Spiegel Der Unendlichkeit” è un album fiacco, povero di spunti realmente interessanti e tranquillamente evitabile. Un passo falso per l’austriaca CCP Records.
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