Dopo la svolta segnata dal precedente, immenso “In Nomine Dei Nostri Satanas Luciferi Excelsi” del 1995, gli MZ412 continuano il loro pericoloso flirt con il black metal e l’anno successivo danno alle stampe questo “Burning The Temple Of God”, che già dalla copertina raffigurante una chiesa in fiamme mette immediatamente in chiaro le intenzioni bellicose e ferocemente anticristiane di Nordvargr e compagni, che in quest’opera proseguono la loro discesa nei più neri e profondi abissi dell’inferno, confezionando un disco intriso di una malignità pressoché corporea, dove l’immagine ed il concept assumono importanza pari a quella della pura espressione musicale. Se possibile, questo lavoro risulta ancora più criptico ed indecifrabile del suo illustre predecessore, procedendo come fa, senza soluzione di continuità, tra pattern ritmici oscuri e melmosi, percussioni tribali che estendono la loro eco minacciosa nel buio pesto della notte, onde sonore distorte che si ficcano come chiodi nella testa dell’ascoltatore, depravazioni sessuali assortite, squarci dark ambient alternati a spesse nebulose rumoristiche ed a qualche apertura di synth dal sapore liturgico e rituale: il tutto per celebrare la più blasfema messa nera ed evocare i demoni dei quali i nostri si proclamano adoratori. La follia iconoclasta tocca il suo picco massimo in “Feasting On Kristian Blood”, unica canzone dell’album nel senso tradizionale del termine, imbattuta ed imbattibile sintesi tra la sporcizia dell’industrial e la freddezza del black metal: il sanguinoso banchetto è servito con un mix letale di chitarre affilate e stridenti, screaming lacerante ed iperfiltrato, drum machine programmata a velocità spasmodiche e colate di noise contorto e deviato. La fruizione è tutt’altro che semplice ed arrivare in fondo può essere faticoso anche per chi mastica abitualmente sonorità estreme ma, senza troppi giri di parole, questo disco è tra le più tangibili incarnazioni del male e dell’odio in musica e va obbligatoriamente ascoltato. Capolavoro che, ad oltre vent’anni dalla sua pubblicazione, continua a stabilire in fatto di sperimentazione un traguardo difficilmente valicabile.
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