Introdurre una band come i Beherit è piuttosto inutile, considerando che il gruppo di Marko Laiho è stato tra i più influenti in ambito black metal e non solo. Quello che intendo presentare è l’ultimo full length della band, quando ormai i Beherit si erano ridotti soltanto al loro leader. Dopo capolavori quali “The Oath of Black Blood” e “Drawing Down the Moon”, il gruppo finnico aveva scelto, con il successivo “H418ov21.c” la strada della sperimentazione pura, confezionando un disco sintetico, privo di elementi metal e dedito al minimalismo più asciutto. Come sintesi definitiva del genio dei Beherit, l’ultimo atto “Electric Doom Synthesis” riunisce la vena ambient industrial e quella più black metal-oriented. Quello che ne viene fuori è uno stile che è assai arduo da definire. Su tappeti di synth, ora meditabondi ora più violenti, Marko Laiho tesse vocals spiritate, episodi in growl, il tutto condito non raramente da chitarre con un riffing impeccabile (si ascolti la splendida “Dead Inside”) e un basso ossessivo. I brani sono vari e ricchi di intuizioni. A niente è lasciato il ruolo di riempitivo: che si tratti di un brevissimo e feroce brano come “We Worship” o alle lunghe fluttuazioni di “Sense”, ciascun brano è il tassello di un mosaico. La qualità di registrazione, a differenza del ruvido predecessore, è perfetta in ogni aspetto. L’atmosfera che ne risulta è straniante, originale e assolutamente inquietante. Il titolo riassume in tre parole tutto ciò che c’è da sapere su questo grande disco. E per chi concorda nel dire che nello spirito del black metal la voglia di osare è una componente primaria, allora sono molto pochi i dischi più ‘black metal’ di questa perla di folle sperimentazione.
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