Questo, finora unico, disco dei lombardi Crown Of Autumn è, a mio parere, una delle più straordinarie uscite mai realizzate in Italia. La band, all’epoca, aveva all’attivo un solo demo, “Ruins” (1996), che già aveva lasciato a bocca aperta la stampa e gli ascoltatori per maturità compositiva e bellezza. In questo disco le minime sbavature del demo vengono eliminate, per un risultato finale che rasenta la perfezione. A partire da un booklet zeppo di immagini di Raffaello; per continuare con citazioni di P. B. Shelley (“The Nettle Path Of Grief”) o ispirazioni tratte da Umberto Eco (“…And The Cold Came O’er The Feud”). Il risultato finale è un album che immerge l’ascoltatore in quell’epoca che segnò il passaggio dal medioevo all’età moderna (per chi non lo sapesse, quella compresa tra il 1492 e il congresso di Vienna). Atmosfere decadenti rese perfettamente dalle chitarre acustiche o dalle sofferte tastiere. Accanto a queste, ritmi più sostenuti, tipici di quel black metal sinfonico caratteristico della seconda metà degli anni ’90. Ma qui tutto è sublimato, sofferto e rabbioso allo stesso tempo, a partire dall’intro”Equinox”, epica e decadente, passando per pezzi quali “Nocturnal Gold Part II: The Name Of Inquietude”, per arrivare alla doppietta “The Nettle Path Of Grief” e “Thou Mayst In Me Behold”, autentici capolavori che da soli valgono l’intero disco. Ottimo l’uso della doppia voce, pulita e screaming. Un uso che, talvolta, fa incastrare i due timbri, per un risultato da brividi. Ottima anche la tecnica sfoggiata da Emanuele Rastrelli e Diego Balconi, le due menti del gruppo. Alla batteria, come session, troviamo Mattia Stanciou, di provenienza Labyrinth..Questa band e questo disco dovrebbero entrare a far parte della storia della musica. Chi ha letto le mie recensioni sa che non sono un amante del black sinfonico, ma di fronte a cotanta bellezza fatta musica non posso che restare ad ascoltare estasiato…
