“Frost”, seconda fatica sulla lunga distanza dei norvegesi Enslaved, pubblicato dalla celeberrima Osmose Productions, può essere a buon diritto considerato l’atto di nascita del viking metal, definizione che campeggia fiera nel retro del booklet. È vero che il meraviglioso trittico bathoryano (“Blood Fire Death”, “Hammerheart” e “Twiligth Of The Gods”) è di qualche anno precedente, ma è altrettanto vero che i nostri sono stati i primi a calare cultura, testi e retaggio vichingo in un contesto autenticamente black metal, con la consapevolezza artistica di creare qualcosa di nuovo, che in effetti non era stato detto prima. Non solo a livello musicale ma anche sotto il profilo dell’immagine, della grafica e dell’artwork (le foto con elmi, armature e spade; le rune; i fiordi immersi nella gelida nebbia). Tutto un immaginario che si distaccava dal classico trademark satanista imperante dalla seconda metà degli anni ottanta – che secondo l’estetica euronymousiana doveva essere esclusivo appannaggio delle bands black –, e che nel corso degli anni ha influenzato in modo decisivo decine e decine di gruppi (Amon Amarth, Thyrfing, Moonsorrow, Einherjer, Hellheim, Borknagar, Windir, tanto per citarne soltanto alcuni tra i più conosciuti ed a loro volta influenti). Grutle Kjellson e Ivar Bjørnson – ancora oggi principali compositori della band ed ai tempi affiancati dal batterista Trym Torson, poi negli Emperor e qui autore di una prova superlativa – erano molto giovani ma seppero coniugare alla perfezione la furia fredda e lancinante delle classiche sonorità black norvegesi con leggende, cosmogonia, tradizioni e letteratura vichinga, in pezzi dall’afflato marziale e primitivo, nei quali il minimalismo tagliente del riffing si sposa a melodie oscure, cariche di pathos ed atmosfera. Ai pezzi più strutturati e compositi (“Fenris”, “Svarte Vidder”), nei quali lo spirito pagano affiora anche attraverso intrusioni acustiche e brevi cori in clean vocals, si alternano brani più canonicamente black (“Loke”, “Jotunblod”, “Wotan”), autentiche rasoiate esaltate dallo screaming lancinante di Kjellson. Vero cuore pulsante dell’album e completa epitome lirica e musicale delle intenzioni della band, è la centrale “Yggdrasil” (l’albero cosmico della mitologia norrena), sorta di semi-ballad dal piglio folkeggiante, il cui testo in norvegese antico è tratto dal poema “Fra Hávamál” contenuto nell’Edda Poetica. Con le loro uscite più recenti gli Enslaved hanno battuto territori molto distanti da quelli dei loro esordi, divenendo i paladini di un prog-extreme metal sperimentale e raffinato, ma la magia primordiale contenuta nelle note di questo capolavoro, dotato di un fascino grezzo e naturale, resta – e probabilmente resterà – ineguagliata. “Frost” è senza discussioni una pietra miliare non soltanto del pagan-viking metal ma del black metal tout court.
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