Ho avuto il piacere di raggiungere gli Aborym per una breve chiacchierata a proposito del loro ultimo album e non solo. Una band che ha saputo raggiungere traguardi importanti e che rappresenta un’avanguardia giunta ormai al confine con il metal, pronta a guardare sempre oltre.
Vi lascio alle parole di Fabban e soci!
Quanto tempo è stato necessario per scrivere e registrare “Shifting.Negative”? Il nuovo album è da considerare come un punto di arrivo o come l’inizio di una nuova fase per gli Aborym? Ci sono ancora le idee e la voglia di registrare un nuovo cd ogni due-tre anni come fatto finora?
Stefano Angiulli (synths, keyboards): “Shifting.Negative” è il risultato di tre anni di lavoro. Fabban ha iniziato a fissare e registrare idee subito dopo la pubblicazione di “Dirty”; è proprio della sua personalità musicale voler continuamente sperimentare, mettere in musica concetti, dare libero sfogo alla propria ispirazione. E così per due anni si è cimentato nella composizione di nuovi brani che formano la struttura portante di “Shifting.Negative” così come lo sentite. Quando siamo entrati a far parte della band ci ha presentato il lavoro e ci ha lasciato liberi di esprimere le nostre influenze su ogni singolo brano. Grazie a una profonda sinergia abbiamo cominciato ad arrangiare e registrare i brani fino a giungere – dopo un enorme lavoro di post-produzione – al risultato finale. “Shifting.Negative” è un cd che sposta l’asticella ancora avanti nel cammino di Aborym che per sua natura non è mai stato incline ad etichettature stilistiche o di genere; è un punto di passaggio fra quello che è stato e quello che è attualmente. E se poteste assistere alle nostre prove capireste immediatamente a cosa mi riferisco: la sperimentazione è continuamente in atto, non ci poniamo limiti espressivi e posso assicurarvi che la voglia di registrare lavori è sempre viva. Lo dimostra anche la trilogia in vinile “Something For Nobody” che stiamo realizzando sotto la supervisione della Dead Seeds Production e in cui potrete gustarvi una colonna sonora in tre parti più numerosi remix ed altre piccole gemme del mondo Aborym.
Fabban: Tra scrittura, registrazioni, post-produzione e mixaggio ci sono voluti circa tre anni. Peraltro il tutto è accaduto nel bel mezzo di una rivoluzione, sia stilistica che di line-up… Ho iniziato a scrivere i nuovi brani convinto del fatto che i vecchi componenti avrebbero preso parte alle lavorazioni e agli arrangiamenti, invece mi sono ritrovato a lavorare completamente solo e negli ultimi tre mesi durante le registrazioni assieme a Dan, che è poi entrato in pianta stabile con Aborym alla chitarra. Questo disco è stato liberatorio per me, non vedevo l’ora di poter scrivere brani in totale libertà e pubblicare un disco del genere. Per me è un nuovo punto di partenza. Anche perché attraverso questo album siamo riusciti a creare una combo di musicisti in gamba, gente che sa suonare, che viaggia puntando la stessa meta, con grandi cervelli, e che finalmente suona ciò che a loro piace suonare. È molto gratificante quindi, perché avevo perso le speranze di trovare persone con cui fare tutto questo. Questo disco rappresenta molto per me. È una grossa “pietra sopra” sul passato da una parte e una nuova enorme sfida dall’altra. Non è un disco facile, non è un disco adatto a chi ascolta musica attraverso clichès e formule omologate; è un album complicato, trasversale e poco educato, all’interno del quale esistono dinamiche contorte e tecniche diverse, dove l’analogico prende a calci in faccia il digitale e viceversa. Ed è in assoluto il primo disco di Aborym realizzato grazie ad una massiccia dose di intuizioni, a volte non programmate, provenienti dal mondo dell’eurorack. La cosa che volevo da questo disco era ed è stata fare tutto ciò che realmente sentivo di fare seguendo l’istinto. E questa è la cosa più potente in assoluto. Stiamo lavorando al seguito di “Shifting.Negative”. Da un paio di mesi. Ho molte idee in mente e spero di avere il tempo necessario per realizzarle tutte come dico io. In attesa di un nuovo album ufficiale abbiamo pubblicato il primo volume di “Something For Nobody” su vinile, primo capitolo di una trilogia all’interno del quale c’è la colonna sonora di “Sakrifice”, un film diretto da Raffaele Picchio che fa parte di “Sangue Misto” e alcuni remix incrociati, tra cui quello di Keith Hillebrandt (Nine Inch Nails, David Bowie, U2, etc…), Deflore, Angela Martyr. A breve verrà pubblicato il secondo volume e durante il 2018 anche il terzo ed ultimo. Il tutto su Dead Seed Productions.
Un commento sui numerosi ospiti presenti in “Shifting Negative”. E’ stato difficile coinvolgerli nel progetto?
Fabban: È stato divertente lavorare con tutti loro. Divertente e produttivo, perché ogni qualvolta mi ritrovo a lavorare con altri musicisti imparo sempre qualcosa di nuovo e nella musica la conoscenza e la curiosità sono fattori fondamentali. C’è stato uno scambio di conoscenza e di know-how tra di noi e poi è stato bello perché in alcuni casi si creano o si calcificano amicizie vere e proprie. Questo non solo con i musicisti. Abbiamo avuto l’enorme fortuna di lavorare con Guido Elmi, produttore di Vasco Rossi, una persona meravigliosa che ha deciso di lasciarci a luglio del 2017. Un grande amico e un professionista incredibile che mi ha insegnato tantissimo. Abbiamo passato mesi e mesi con Emiliano Natali che ci ha seguiti durante le registrazioni. Abbiamo lavorato con Marc Urselli, per quanto riguarda il mixaggio agli East Side Sound di New York, mio amico da tanti anni nonché sound engineer di gente come John Zorn, Foo Fighters, Lou Reed, Mike Patton, U2, solo per citarne alcuni. Abbiamo lavorato per diversi giorni con Luciano Lamanna per molte strutture e passaggi di modular synth e strada facendo abbiamo portato con noi in studio Andrea Corvo, sound engineer che ora lavora con Aborym e che ha già messo le mani sui primi due volumi di “Something For Nobody” e con cui lavoro parallelamente su altri progetti relativi alla cinematografia e sound design per progetti in VR.
Sempre a proposito dell’ultimo album, ho letto numerose recensioni ingiustamente negative (perlopiù italiane) che parlavano della “fine” degli Aborym, del vostro definitivo allontanamento dalla scena metal in favore di un prodotto meno estremo. Vi curate di quello che la critica pensa del vostro lavoro?
Fabban: Sì, moltissimo e soprattutto quando le critiche provengono da persone e giornalisti preparati, che conoscono la musica e sanno ciò di cui parlano. E ultimamente queste persone sono merce rara. Internet ha creato tanti nuovi tuttologi e tantissimi esperti di musica. Basta mettere su una paginetta in html e tutti diventano magicamente esperti di musica. Ad ogni modo, fa parte del gioco. Ho letto recensioni catastrofiche su questo album così come ho letto molte recensioni ottime. Ero cosciente del fatto che questa release avrebbe fatto storcere il naso a qualcuno e in parte era ciò che volevo. Vorrei puntare ad un altro tipo di pubblico, pertanto va benissimo così, e se la gente si aspetta che io suoni o faccia dei dischi giusto per gratificare loro forse è meglio che puntino su altre band e non su Aborym. Nel 2018 c’è ancora gente che mi chiede se ci sarà mai un ritorno in stile “Kali Yuga Bizarre” e promoter di concerti che mi chiedono se è possibile far suonare ad Aborym pezzi di dieci o vent’anni fa. Nel 2018… Rispetto ad una quindicina di anni fa ho imparato a fregarmene e allo stesso tempo cercare di “far irritare qualcuno” quando mi vengono fatte determinate domande. Oggi chiunque, e soprattutto persone che nella vita non hanno mai realizzato niente, pensa sia corretto parlare male di qualcosa che non avrebbe neanche il diritto di giudicare, eppure lo fanno. Oggi i dischi si ricevono in mp3, accompagnati da un jpeg della copertina e un pdf con selling-point, tracklist, una biografia e due note. Poi si va su google, si rintraccia la recensione di qualcun altro, si cambiano qua e la due vocaboli e la recensione è servita. È una vera e propria merda nella quale non voglio galleggiare. In rete c’è troppo di tutto ed è meglio “spegnere” ogni tanto.
Gianluca Catalani (drums): Sì e no. Le recensioni, negative o positive che siano, fanno parte del gioco e in un modo o nell’altro ne devi sempre tener conto. Le critiche costruttive sono bene accette e ti aiutano a crescere, ed è inoltre sintomo che il lavoro è stato ascoltato e sviscerato prima di essere criticato. Quelle riguardanti la parte più “oltranzista” e conservatrice ci strappano sinceramente solo un sorriso, ma poi finisce lì e guardiamo avanti, come del resto la band ha sempre fatto.
Stefano Angiulli (synths, keyboards): Non rientrare nei clichés che qualcuno aspetta di sentire e risentire secondo una logica di copia/incolla o non “rispettare” determinati canoni stilistici imposti (ci sarebbe da chiedersi a tal proposito “imposti da chi?”) può certamente portare a critiche. Sinceramente non ci preoccupiamo minimamente di non aver soddisfatto le aspettative di chi prevedeva di ritrovare in “Shifting.Negative” qualcosa di già fatto nei passati dischi in quanto Aborym non è mai stata una band in cerca della formula magica per vendere cd ripetendosi. Componiamo canzoni seguendo esattamente quella che è la nostra ispirazione senza preoccuparci di “che genere” suoniamo. Di contro c’è una critica molto costruttiva e con la quale ci piace confrontarci per accrescere la qualità della musica che produciamo. E nel 99% dei casi questa critica non si preoccupa assolutamente di rimarcare la mancanza di appartenenza ad un genere specifico; la critica musicale competente e genuina si preoccupa di ben altro.
Da “Dirty” in poi mi sembra che avete abbracciato sempre più la dimensione live. Com’è un concerto degli Aborym? Riuscite a riprodurre con successo i molteplici suoni presenti nei vostri dischi?
Gianluca Catalani (drums): Da poco più di un anno Aborym è una vera e propria live band al completo, è la prima volta che sul palco c’è un batterista in carne ed ossa ad esempio e questo giova notevolmente all’impatto live sia a livello scenico che sonoro. Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo lavorato duramente sui dettagli, sugli arrangiamenti, sui suoni e su come vestire al meglio i brani in modo da renderli convincenti sul palco. Alla fine il risultato è fantastico, siamo tutti molto soddisfatti. Non nascondo che riguardo me in particolar modo, essendo il primo batterista di Aborym che calca un palco, ho sentito all’inizio una certa responsabilità e anche un po’ di “timore reverenziale”, ma Fabban e gli altri mi hanno talmente fatto sentire a mio agio che tutto questo è svanito nel giro di un 4/4.
Fabban: Come diceva Gianluca è da circa un anno che siamo rinchiusi nel nostro studio proprio per lavorare su questo. Da circa un anno abbiamo scomposto gran parte di “Shifting.Negative” e alcuni brani un po’ più datati, riarrangiando, ricostruendo strutture e perfezionando il tutto con il solo obiettivo – e non è facile – di riprodurre tutto questo dal vivo. Ad Ottobre del 2017 ci siamo presentati live al MusikaExpo con la nuova formazione (un chitarrista, un bassista, un synth player, un singer e il nostro batterista appunto) e con un set decisamente complicato da riprodurre live e dopo questo primo concerto abbiamo realizzato di avere due grossi coglioni gonfi in mezzo alle gambe. Ora siamo pronti per continuare a presentarci live e abbiamo alcuni concerti in programma. Non è stato semplice convogliare in tutta questa operazione cinque musicisti, la relativa strumentazione, la ricerca dei suoni e tutto l’enorme sipario di arrangiamenti presenti nei brani che suoniamo dal vivo. Si, perché al contrario di tante altre band, gli Aborym dal vivo suonano, non fanno finta. E chi ha avuto modo di vedere suonare questa band penso se ne sia reso conto.
Stefano Angiulli (synths, keyboards): La dimensione live è un aspetto che stiamo curando giorno dopo giorno. Fin dalla prima prova effettuata insieme abbiamo deciso di sottoporci a uno studio e a un esercizio continuo per riprodurre al meglio i nostri brani dal vivo. Lavoriamo in maniera maniacale su qualsiasi dettaglio sonoro e grafico affinché il risultato finale ci soddisfi pienamente. Ogni suono, ogni fraseggio ed ogni singola nota non sono mai lasciati a sé stessi e sono parte di quello che lo spettacolo Aborym propone anche attraverso proiezioni video e luci. Ci impegnamo a fondo affinché un nostro show possa lasciare qualcosa a chi è lì sotto il palco ad ascoltarci; qualcosa che trascenda l’aspetto puramente sonoro per espandersi anche verso la stimolazione visiva.
Non avete mai pubblicato più di due cd con la stessa etichetta (Scarlet, Code 666, Season Of Mist) ed ora siete sotto contratto con l’Agonia Records, una delle migliori etichette del metal estremo moderno. Pensate di poter intrattenere con loro un rapporto di più lunga durata?
Fabban: No. Non ci sarà un seguito con Agonia Records. Questa etichetta è troppo settorializzata e il genere che suoniamo non può respirare in una situazione discografica simile. Da anni collaboriamo con Dead Seed Productions etichetta francese che ha prodotto diverse cose per Aborym, tra cui anche un vecchio live su cd e che ha di recente pubblicato il volume uno della trilogia “Something For Nobody”. Continueremo a lavorare con loro. È gente che parla la nostra lingua e che fa le cose con molta professionalità e passione. Loro mettono la qualità della musica al primo posto.
Il black metal è forse il sottogenere dove maggiormente si è assistito ad un fenomeno evolutivo da parte di certe bands, che si sono man mano dirette verso qualcosa di diverso, a volte esterno alla musica metal in generale. Non che gli Aborym abbiano mai suonato black metal in senso stretto, ma rilevi anche nella vostra storia questo percorso?
Fabban: Sì, ma noi il salto l’abbiamo fatto e siamo atterrati dove volevamo. A parte gli Ulver, che si sono reinventati in un modo qualitativamente sublime, gran parte delle altre bands continuano a fare cose che ascoltavo trent’anni fa, su cassetta e dentro un walkman. I soldoni sono importanti. In pochi oggi suonano realmente ciò che vorrebbero e la stragrande maggioranza suona ciò che il loro pubblico chiede loro. Se questa catena si dovesse spezzare i loro conti in banca si svuoterebbero drasticamente e ai loro concerti si troverebbero di fronte solo ultracinquantenni stempiati con il giubbotto di jeans pieno di toppe del cazzo e croci rovesciate.
Seguite con interesse la scena metal attuale? Pensate ci sia ancora qualche gruppo capace di proporre una musica originale nel moderno mercato super inflazionato?
Fabban: In tutta onestà non ricordo quand’è stata l’ultima volta che mi sono realmente emozionato per un disco appena uscito. Forse nel 2016 in occasione dell’uscita dell’ultimo album di David Bowie e per uno degli ultimi capolavori di John Zorn o Squarepusher. Nella scena metal attuale poi, non ne parliamo, e del black metal evito di parlare per evitare di risultare poco educato. Due giorni fa ho ascoltato il nuovo Judas Priest e volevo mettermi a piangere. Io vedo un appiattimento generale spaventoso e mi sto rendendo conto, invecchiando, che oggi la gente si diverte a creare dischi di una banalità inquietante. Molti gruppi oggi fanno ciò che porterà loro consensi sui giornali e su internet, scelgono la strada più sporca che però li porterà avanti. Vedo tanti codardi in giro e pochi, pochissimi artisti con le palle che dicono e fanno ciò che pensano. Ultimamente poi sono rimasto letteralmente sconcertato e divertito dai nuovi stratagemmi che in molti stanno adottando per tentare disperatamente di recuperare qualche consenso in più. Gruppi che fanno live dedicati con scalette esclusive di questo o di quell’altro disco, birre e vini personalizzati e prodotti con i loghi delle band. Tutto questo mi fa paura, davvero.
Gianluca Catalani (drums): Personalmente non seguo moltissimo la scena metal attuale, non dico che non ci siano gruppi validi, ma semplicemente trovo poco interessanti le sonorità e le scelte che molte di queste bands stanno perseguendo. Mi sembra ci sia più la tendenza ad un grande “riciclo” di cose già sentite con il solo fine di “fare cassa” rischiando il meno possibile. Per quel che mi riguarda preferisco ascoltare ancora gente come Rush, Bjork, Peter Gabriel, King Crimson, Nine Inch Nails, Mogwai, Squarepusher, Boards Of Canada, Radiohead, tutti artisti che disco dopo disco riescono a sorprenderti con qualcosa di nuovo e di fresco senza risultare mai banali o stantii.