Siamo nel 2000, un paio di anni dalla formazione dei Watain. Jon Nödtveidt è in prigione per omicidio e i suoi Dissection hanno già rilasciato il capolavoro “Storm Of The Light’s Bane” e il meno noto ma comunque valido “The Somberlain”, delineando i tratti che avrebbero contraddistinto lo Swedish Black Metal, nella sua accezione più melodica. Era il 1998 quando usciva “Vobiscum Satanas”, secondo full-length dei Dark Funeral e “Panzer Division Marduk” verrà rilasciato l’anno successivo. Anche se, parlando di Marduk, dovremmo andare indietro di qualche anno per trovare un punto di contatto coi primissimi Watain. Infine cito i Mayhem, norvegesi è vero, ma che probabilmente sono il vero metro su cui si misurano i Watain di quegli anni. Delineare la scena di allora serve a capire le influenze del primo full firmato da Erik e soci. “Rabid Death’s Curse” è ancora un lavoro seminale, che getta le oscure ma solide basi del successivo e definitivo “Casus Luciferi”. “Rabid Death’s Curse” mantiene comunque un velo mistico e genuino che verrà progressivamente perso dai Watain, successivamente sempre più raffinati nelle composizioni e precisi nelle esecuzioni. A partire dalla registrazione approssimativa, sporca, eseguita ai Necromorbus Studios di Stoccolma, tutt’oggi attivi, e passando per l’esecuzione non ritoccata, ricca di imperfezioni e sbavature, evidenti nell’andamento ritmico, e nelle vocals naturali e graffianti, si finisce per apprezzare l’estetica e la realizzazione del disco. Il genere è il succitato Swedish Black, fortunatamente privato delle derive melodiche care ai cugini Dissection, a favore di un piglio oscuro e dissacrante. Certo, il songwriting è primordiale, in alcuni tratti piatto, ingenuo, ma coerente e incisivo. Lo spazio per i tratti che poi sarebbero divenuti caratteristici dei Watain è nascosto, decisamente, a favore di una musica d’impatto e diretta. Il disco scorre omogeneo e dà una sferzata giusto alla fine, con l’affascinante e brutale “Angelrape” e la conclusiva “Mortis Sibi Conciscere”, ovvero “Ammazzarsi”, che è una lunga litania, leggermente più lenta ed evocativa della musica precedente. “Rabid Death’s Curse” se confrontato coi successivi dischi dei Watain è praticamente annullato al loro cospetto, dalla grandezza compositiva che verrà acquisita negli anni dai Nostri. Ciò non toglie che il loro esordio resta una genuina e imprescindibile manifestazione di un genere in fermento, che stava per maturare definitivamente, perdendo così, forse, quel fascino chiaramente riscontrabile nel disco in questione.
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