La Francia, dopo aver sfornato decine di valide realtà nel corso degli ultimi anni, continua a confermarsi fucina di talenti in ambito estremo. Questa tendenza virtuosa prosegue con i Black Sin, progetto che nasce nel 2004 per volere dell’allora unico componente e factotum Berith La Vermine De L’Art Noir e che, dopo un paio di demo ed il full length di debutto (“Light Of Despair”, pubblicato nel 2010) è ora divenuto una band a tutti gli effetti, con l’entrata in pianta stabile nella line up di alcuni personaggi già attivi nella scena underground transalpina e provenienti, tra gli altri, da gruppi come Deluge e Imber Luminis. “Solitude Éternelle” è la seconda fatica sulla lunga distanza dei nostri e vede la luce grazie alla piccola ma agguerrita etichetta Black Pandemie Production, che sta facendo un grande lavoro di promozione: siamo di fronte ad un disco a metà strada tra il raw black metal più oscuro e disperato e tentazioni depressive che spesso e volentieri prendono il sopravvento, rendendo il tutto ancora più cupo ed ammantando il sound di un’atmosfera perversa e maledettamente funerea. A mio giudizio “Solitude Éternelle”, pur nel suo risultare comunque fedele a certi stereotipi del genere, non è un lavoro di così immediata assimilazione ed è molto probabile che possa scatenare nell’ascoltatore reazioni opposte ed ugualmente estreme, di grande apprezzamento oppure di odio viscerale. Fin dall’opener “Lente Descente”, con le sue chitarre torturate ed ultra distorte e le sue vocals filtrate, disperate e cariche di angoscia, si mettono in chiaro le coordinate stilistiche e gli intenti di un album sovrastato per tutta la sua durata da una spessa coltre di sofferenza e frustrazione e che per alcuni aspetti, dal sound generale ad alcune soluzioni adottate, può ricordare la sconfortante malinconia veicolata dalle prime opere di bands come Abyssic Hate, Silencer, Lifelover e Make A Change… Kill Yourself ma anche da alcuni pezzi dei Mütiilation, tanto per restare in terra francese. Paragoni ed accostamenti a parte, in ogni caso istintivi ed in certa misura inevitabili, “Solitude Éternelle” presenta alcuni elementi di diversificazione che mettono in risalto la personalità del gruppo, pur devoto ad un certo discorso musicale (e lirico) ben noto agli amanti di questo genere di sonorità: dalle melodie ossessive e stranianti della lunga suite “Cendres”, ai cambi di tempo puntualmente accompagnati e sottolineati da una sezione ritmica precisa e devastante, dall’alternanza tra momenti più estremi e ruvidi ed altri più meditativi e intimisti, al sorprendente, lugubre e straziante assolo di sassofono, opera di Medy, che chiude la conclusiva title track; tutti elementi che spezzano in certa misura la continuità di un album comunque compatto e monolitico ed evidenziano l’indubbia capacità compositiva dei nostri, che riescono in questo modo (cosa non facile) ad evitare di cadere nella banalità e nella mera reiterazione di stilemi altrui, mantenendo vivo l’interesse di chi ascolta. C’è davvero da augurarsi che ora, consolidata la formazione, la band riesca a trovare definitivamente la propria dimensione e possa in breve tempo dare un seguito altrettanto valido a questo lavoro. Per adesso gustiamoci questo “Solitude Éternelle”: una lenta ed inesorabile discesa nei meandri più bui ed opprimenti dell’animo umano.
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