I Trelldom, grazie ad una paio di dischi ben strutturati, si sono meritati un posto in primo piano per quanto riguarda le prime uscite black metal. In particolare questo loro primo full-length “Til Evighet…” merita attenzione, in quanto capace di proporre un black purissimo, contaminato solo in minima parte da alcuni episodi provenienti dal demo “Disappearing of the Burning Moon”, datato 1994. Gaahl, vocalist conosciuto più per la sua militanza nei Gorgoroth, qui si esibisce in una prova più naturale e umana, senza ricorrere ad una eccessiva distorsione nel cantato, come ci avrebbe abituati in seguito. Musicalmente lascia un’ottima impressione la tagliente freddezza del riffing di chitarra, in grado di sprigionare appieno paesaggi innevati in un dipinto epico. Il combo di Bergen riesce ad alternare momenti in cui il sapore del disco si mantiene dedito ad un black metal da manuale, per l’epoca raramente ascoltabile in altre uscite, con rininiscenze più figlie di band come gli Hellhammer, dal sapore necro, fino ad arrivare a picchi in cui è l’atmosfera a farla da padrona. “Til Evighet…” è la giusta somma di questi tre fattori: violenza, epicità e tensione, e riesce a dare il massimo soprattutto quando i fattori si fondono insieme. Indimenticabili alcuni passaggi dell’album, come lo stacco iniziale di “Endløs Vandring Gjennom Evighet”, che ci presenta il manifesto musicale della band. Non si può non menzionare la laconica “Taake” (“Nebbia”), che in tre minuti scarsi dice quanto basta per racchiudere riffs d’impatto, cambi di tempo e un crescendo di pathos emblematico. Come importanza storica, direi che abbiamo di fronte un’uscita per molti versi paragonabile a “Pure Holocaust” degli Immortal; sono davvero molto simili i due dischi, per suono e struttura… se non fosse che i Trelldom sono arrivati in leggero ritardo rispetto al masterpiece di Abbath e Demonaz. Insomma “Til Evighet…”, che tradotto significa “Per L’eternità…” consacra questa band, recentemente portata avanti dal frontman Gaahl, come una delle prime uscite di qualità superiore attribuibili al black metal “moderno”, ovvero quel black che si distacca in maniera chiara dagli influssi ottantiani, per prendere la forma diabolica e gelida che oggi tutti noi conosciamo. L’ultima traccia, la title-track, è in tal senso una cavalcata costruita sui mid-tempos, che ci accompagna verso un finale di archi sofferto e allo stesso tempo dolce, a suggellare mezzora di violenza nervosa e incontrollata. Imperdibili…
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