Dopo l’uscita di King e la riaffermazione di Infernus come leader indiscusso, i Gorgoroth hanno ripreso la strada del passato, rispolverando un lavoro di chitarra che ricorda i loro primissimi album. Se “Quantos Possunt Ad Satanitatem Trahunt” mi aveva convinto, a parte la produzione, questa nuova fatica non riesce a mantenere lo stesso livello, come se le idee del buon Infernus fossero finite da un pezzo. Il disco riprende le melodie e l’incedere dei migliori Gorgoroth, è vero, ma a un attento ascolto si nota che sono tutti spunti slegati tra loro, che non riescono a diventare un brano o un concept stilistico, ma soltanto tanti pezzetti incollati e simili, troppo simili, al disco precedente. “Omnipotens Aeterne Diabolus”, terzo brano, parte con un’intro già sentita mille volte, per poi sfociare in un riff stupendo che, dopo pochi secondi sparisce, per fare spazio a una continua variazione senza senso. Altro problema che hanno i Gorgoroth è il batterista: troppo tecniche le sue soluzioni quando si presentano e decisamente troppo leggero nell’incedere più lineare. Non posso che giudicare con un forte disappunto alcune scelte melodiche, che si evincono nella parte solista di chitarra: l’assolo centrale di “Burn in His Light” è orribile, degno del peggior chitarrista neomelodico. Ma questo è nulla a confronto dell’intro di “Rage”. Nota di merito invece per il cantato di Atteringer, serbo e già in formazione coi connazionali Triunfall, che usa il growling ed è molto differente dai vari Hat, Gaahl e Pest ma tutto sommato convincente. Il disco dura solo mezz’ora ma pare interminabile per quanto è noioso. Continuate pure ad ascoltare la roba vecchia dei Gorgoroth, se volete un consiglio spassionato, e lasciate perdere questo album che sarà probabilmente uno dei tanti dischi che si perderanno presto nell’anonimato.
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