Escono per la giovane Einheit Produktionen i russi Nomans Land i quali propongono un epic metal venato da tinte pagan e viking che, a dispetto delle origini del gruppo, é chiaramente ispirato alle saghe ed alla mitologia nordica piuttosto che a quella dei paesi dell’Est Europa. Basta dare una rapida occhiata ai titoli delle songs ed ai testi (per la verità piuttosto elementari) per rendersi conto di come gli stessi decantino le lodi di Odino o le gesta eroiche dei guerrieri del Grande Nord. Sinceramente mi sfugge il motivo per cui una band proveniente da un determinato paese, nella fattispecie peraltro estremamente ricco di tradizione autoctona, senta la necessità di trarre ispirazione dall’altrui cultura per trovare la propria dimensione. E questo lo dico con la più grande benevolenza nei confronti di un gruppo i cui membri, che a giudicare dalle foto all’interno del booklet sembrano provenire direttamente da un racconto di Tolkien, non possono che ispirarmi simpatia. La musica dei Nostri mi ha ricordato molto da vicino, lyrics ed attitudine a parte naturalmente, quella dei polacchi Honor. Un epic metal assai cadenzato dunque, dall’andamento marziale e dal flavour decisamente heavy, in cui sono le trame chitarristiche a farla da padrone, mentre le tastiere sono relegate ad un ruolo tutto sommato marginale e di contorno, a sottolineare le parti maggiormente caratterizzate da un tocco folk. Il songwriting non è eccelso ed i momenti di stanca si fanno sentire, specie nella parte centrale del disco. In generale i Nomans Land tendono ad essere eccessivamente prolissi ed a riproporre, anche all’interno del medesimo brano, le stesse identiche soluzioni melodiche già sentite e risentite centinaia di volte. Non che l’originalità debba essere a tutti i costi una prerogativa di questo genere, ma davvero si ha la netta sensazione che il disco sia suonato con mestiere (e solo con quello) e con un approccio estremamente scolastico che inficia la resa finale del prodotto. Non mancano certamente i brani ben costruiti (degne di nota l’opener e la conclusiva “Balfor”) e quando azzeccano il riff giusto i Nostri riescono anche ad essere coinvolgenti ed affascinanti. Quello che manca, a mio giudizio, è quella vena guerresca, quella foga epica, quella passione tribale che dovrebbe caratterizzare dischi di questo tipo. Provate ad ascoltare l’ultimo Juvenes e capirete ciò che intendo dire. Da rivedere è anche il cantato, che alterna uno screaming piuttosto blando ad una voce pulita che tutto ispira fuorché la voglia di impugnare le armi e lanciarsi nella battaglia. In definitiva un disco non da buttare, che si guadagna una risicata sufficienza, ma se fossi in voi dirigerei verso altre bands i miei interessi. Scontati.
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