Probabilmente (e per fortuna) pochi conosceranno gli statunitensi Satan’s Host, nonostante i nostri si siano formati nel lontano 1977. Nati come side project del cantante degli Jag Panzer Harry “Tyrant” Conklin, i Satan’s Host pubblicarono nei primi anni ottanta due album di discreto power-speed, “Metal From Hell” e “Midnight Wind”, per poi sciogliersi sul finire della decade. Riformatisi nei primi anni novanta con una line up completamente rinnovata, i nostri hanno dato una virata decisa al loro stile, trasformandosi in una black/death metal band. “The Great American Scapegoat 666” è il loro quarto full length post reunion e, a parte il titolo e la cover divertenti, ha ben poco da offrire in termini di qualità musicale (e francamente non mi capacito di come un’etichetta tutto sommato valida come la Moribund possa aver messo sotto contratto questo gruppo). I Satan’s Host si sforzano a tutti i costi di somigliare ai vari Celtic Frost, Hellhammer, Venom e Sarcofago con un leggero tocco occulto in più, senza tuttavia riuscire nell’intento. I brani risultano estremamente scolastici e ripetitivi ed annoiano quasi subito a causa di un songwriting per nulla ispirato e di soluzioni ripetitive assolutamente prive di idee. Addirittura indisponenti sono gli inserti tastieristici che la band ci propina a profusione nel disperato tentativo di infondere una patina macabra e arcana ai pezzi. Nel complesso il sound dei nostri non è molto dissimile da quello dei loro connazionali Acheron, forse una delle peggiori realtà della scena estrema statunitense. Un album sgangherato, anonimo ed in definitiva totalmente inutile.
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